Questa volta ne ha fatti solo 17 (4/8 da 3), con 6 assist, non sufficienti tuttavia a smantellare la corazza targata Treviglio. 19ª giornata del campionato di A2 di pallacanestro, girone verde, l’Urania Milano incontra i bergamaschi della Bassa, uno squadrone costruito per andare in serie A, nelle cui file militano cestisti approdati in Nazionale e con un palmarès impressionante: Luca Vitali, Bruno Cerella, Brian Sacchetti, assecondati da uno straniero di grandissima classe, Jason Clark (26 punti pesantissimi), e da una guardia italiana che ha saputo spaccare la partita, Pierpaolo Marini (26 anche per lui).
Per tre quarti l’Urania ha retto, nonostante le gravissime assenze di Matteo Montano e Rei Pullazi. Alla fine 72-84 per Treviglio. C’era entusiasmo all’Allianz Cloud dopo che il sabato precedente il play dei meneghini, enfant du pays, aveva sotterrato la Fortitudo Agrigento con 41 punti, 15 assist, 10 falli subiti e 49 di valutazione. Una partita epocale terminata ai supplementari e una prestazione mostruosa di Amato. Quest’anno nessun italiano come lui: né in A2 né all’immediato piano superiore.
Peraltro la sconfitta contro il team trevigliese non pregiudica il sogno playoff dell’Urania, ancora quinta in classifica. Una équipe capace di stupire per tenacia e coraggio.
Da segnalare nei ranghi ambrosiani la crescita costante di Michele Ebeling, figlio d’arte (il padre John con J.J. Anderson costituì una coppia spettacolare in quel di Firenze): tecnica e atletismo, testa e cuore, per un 1999 dal grandissimo talento e completezza (le sue 3 stoppate contro Treviglio sono state da urlo, compresa quella contro il nume Cerella lanciato in contropiede).
Una stagione in ogni caso, quella dell’Urania, già ampiamente positiva. E nuovi tifosi si aggiungono a quelli storici. Una società ben condotta, con un settore giovanile oltremodo curato. Virtuosità sul parquet e dietro la scrivania perfettamente commiste.
Fra le cose del basket da citare l’eclatante record, l’ennesimo, firmato da quell’immenso giocatore di nome LeBron James, il quale ha sorpassato nella classifica dei marcatori all time nella regular season NBA tale Kareem Abdul-Jabbar, niente di meno che il re del gancio-cielo. Per lui 38390 punti (ampiamente aggiornabili, ovviamente) in una carriera che ha dell’incredibile, già leggendaria. Il primato di Jabbar pareva insuperabile, ma non si erano fatti i conti con il ragazzo di Akron che veleggiando verso i 39 sta ancora impartendo, emblema di dedizione e classe senza fine, lezioni di basket ai suoi più giovani colleghi.
Non si contano più le sue vittorie e successi, individuali o di squadra. Detto del recentissimo record, come non ricordare i 4 titoli NBA con tre diverse franchigie – Miami Heat, Cleveland Cavaliers, Los Angeles Lakers – e gli ori olimpici (2)? Un giocatore senza punti deboli, come il suo idolo d’infanzia MJ, un predestinato sin dalle high school, uscito da una infanzia difficilissima (padre assente, fu cresciuto dalla mamma), agonismo, tiro, atletismo devastante, arte del passaggio, carisma e un non indifferente bagaglio d’intelligenza cestistica e non solo. LeBron ha deliziato tutti e a lungo e, nonostante l’età, potrebbe ben continuare a meravigliare le platee USA e del pianeta. Un’icona nel gioco e nel riaffermare ideali per battaglie di principio e di civiltà. Quando il campione non si nasconde fra le pieghe del successo mediatico, rinchiudendosi in una torre d’avorio...
LeBron James è il degno erede di quel nobile giocatore che è stato e dell’uomo che è Kareem Abdul-Jabbar.
Alberto Figliolia