Nella stagione invernale di spettacoli organizzati dal Teatro della Società Operaia di Chiavenna, il concerto di Umberto Petrin a corredo di due short movie di Buster Keaton (One week e The goat), rappresentava sicuramente la punta di diamante. Conoscendo le dinamiche culturali di paese non era pensabile aspettarsi il tutto esaurito, e puntualmente la sala mostrava larghi vuoti. Non una novità quindi, anche perché Petrin non compare in televisione, non si ascolta in programmi radiofonici, e soprattutto non fa musica banale.
Ma forse l’affluenza sconfortante non è episodio singolo bensì oggi una forma generalizzata che riguarda tutte le proposte non avvalorate dai media di consumo a prescindere dalla validità dei musicisti. Qualche esempio locale? Qualche mese fa nella vicina Morbegno il duo di Enrico Rava e Enrico Intra, non propriamente degli sconosciuti, ha totalizzato 160 spettatori. Poi succede che per il concerto gospel natalizio l’Auditorium si riempie e allora è d’uopo porsi degli interrogativi sulla natura e sulle scelte del pubblico dei nostri giorni. Il gospel è diventato nel tempo fenomeno di moda, e richiama presenze massicce indipendentemente dalla qualità degli esecutori. Lo spettacolo teatrale che ha fatto bingo nel mio paese è stato, neanche a dirlo, quello che ha visto in scena un personaggio televisivo.
Caso curioso quello nel mio affascinante borgo, riguarda il suo personaggio artistico vivente più conosciuto nel mondo, e da almeno mezzo secolo, ma pressoché ignoto ai propri compaesani, soprattutto i più giovani. Parlo ovviamente di Guido Manusardi, oggi ottantasettenne e da tempo lontano dal paese natio che con lui non è mai stato prodigo nei fatti. Molto nei riconoscimenti a parole, peccato, racconta il vulgo, per quella musica così ostica e per niente consona ai paludati gusti locali che vedono cori e bande primeggiare senza requie e senza scampo per i devianti. Eppure Manusardi è stato un pioniere, prima dei Rava e dei Fresu ha lasciato l’Italia per cercare lavoro e successo dapprima in Svezia e poi in Romania. Ottenendo riconoscimenti del proprio valore professionale che in patria gli erano sconosciuti. Per la sua generazione è stato un apripista, un faro nato in una vallata incastonata nelle Alpi, lontana dalla città e in tempi ben più grami degli attuali.
Tornando alle cronache più stringenti, la sessantina di persone accorse per Petrin ne hanno ammirato la sopraffina tecnica strumentale, la capacità di cucire non solo le acrobazie di Keaton sullo schermo, ma soprattutto di restituire un suono pienamente orchestrale, fatto di continue citazioni. I prediletti Chic, storico gruppo di Nile Rodgers, ma anche Diana Ross, Marvin Gaye, e, al di fuori dei protagonisti dell’era Motown, naturalmente Thelonious Monk, del quale è raffinato interprete tra i migliori in assoluto e non solo in Italia. Un’ora abbondante di musica spumeggiante per un ascolto appagante e lontano anni luce dalle banalità sanremesi in agguato.
Roberto Dell’Ava