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Luigi Zuzzi. Storia di Ciampino (Roma) – 3. I “Cav solo cav” 
A cura di Maria Lanciotti
(Foto Archivio
(Foto Archivio 'Anni Nuovi') 
05 Gennaio 2023
 

Posta in aperta campagna, e lunge assai dagli abitati luoghi…”

... dal giorno della “nascita di Ciampino” al giorno che con un ardito guizzo di fantasia possiamo definire la data del “Concepimento di Ciampino”

 

Me lo immagino il più dimesso ed ossequioso. Me lo immagino con il cappello tenuto tra le mani. Certamente sembrava lì per caso. Quel giorno di dicembre del 1916 – che la volta scorsa abbiamo sancito esser la data di nascita di Ciampino – il notaio Tosatti lo ha presentato come “cavaliere” in ossequio a quel piccolo prefisso “Cav” associato ad un cognome “Capri Cruciani” che qui a Ciampino evoca ancora qualcosa di familiare.

In quell’Italia dove la media e piccola borghesia stava riuscendo ad alzare la testa ‒ come già da molto tempo prima era riuscita a fare nell’Europa più ricca ‒ il confronto con i residui ancora ingombranti della nobiltà si giocava anche col vezzo di metter in mostra i propri titoli, i più altisonanti possibili. Ma è proprio nei gradini di quell’altisonanza che si giocava la sfumatura dalla piccolissima, piccola, media e grande borghesia. Staccata… irraggiungibile ancora, rimaneva la nobiltà… ma sempre più spesso era ormai sinonimo di insignificanza.

I “Cav solo cav”, stavano sul primo predellino della scala, erano quelli che più che arrivati nell’area “di chi conta” vi stavano per entrare, ma non era detto, spesso rimanevano solo utile tappezzeria.

Quel giorno, in quelle stanze principesche di “Cav solo cav” ce n’erano due e nella nostra storia entrambi vi si inseriscono in modo certamente non secondario.

Ma per capire meglio perché Luigi Capri Cruciani non è assolutamente entrato per caso tra le righe vergate quel giorno dal notaio Stame, dobbiamo fare un passo indietro di ben 57 anni e passare dal “giorno della nascita di Ciampino” al giorno che con un ardito guizzo di fantasia possiamo definire la data del “Concepimento di Ciampino”.

 

Il primo agosto del 1859 il trenino a vapore che dal 7 luglio del 1856 partiva da Porta Maggiore alla volta di Frascati si ferma per la prima volta in “un certo punto” del suo percorso.

Percorso che attraversava, sulla traccia dell’antica Castromoeniense, l’Agro romano verso Sud-Est entrando nella Comarca e proprio da quel “certo punto” in poi, voltando dolcemente verso Est, risaliva le pendici del complesso vulcanico castellano per raggiungere (senza però entrarvi) la splendida Frascati, meta agognata di romani in astinenza da tropee.

Fa sosta il trenino quel giorno perché in quel punto dove il terreno è ancora in piano, ma subito dopo inizia a risalire per inoltrarsi sulle alture castellane, i tecnici anglo-francesi della Pio-Latina costruttrice e conduttrice della prima strada ferrata pontificia, decidono di innestare la linea che circumnavigando a Sud il complesso vulcanico, si inoltra verso Velletri per poi raggiungere i confini dell’allora Regno delle due Sicilie in ottemperanza a quel lungimirante piano ferroviario definito nella Notificazione del 1846, elaborato dalla Commissione che Pio IX aveva insediato solo 8 giorni dopo la sua salita al Pontificato.

Nelle diramazioni tra tracciati di binari unici non può che esserci una Stazione di smistamento ed infatti quel primo agosto si inaugurava in quel “certo punto” una stazione la cui descrizione la possiamo leggere nella guida turistica Viaggio da Roma a Monte Cassino (pubblicata nel 1868 con i tipi del Salviucci) che l’autore, Alessandro Guidi, uno studioso latinista della metà dell’Ottocento descrive così:

[…] Posta in aperta campagna, e lunge assai dagli abitati luoghi, questa stazione non accenna ad alcun particolare paese […] Ella ha da un lato due casini, ove stanno gli offici e i piccoli magazzini, ed hanno proprio albergo le persone addette all’amministrazione e custodia di essi; dall’altro un ricovero per comodo a’ viaggiatori, che attendono il venire dei Treni […]. Ed immancabile, il grande serbatoio dell'acqua: era tutta lì la prima stazione ferroviaria di Ciampino.

La guida citata la potete rintracciare nella biblioteca Nazionale di Roma, coll. 18.7.A.67.

Sovrapponendo i catastali di fine Ottocento con gli attuali abbiamo la certezza che i resti che furono quei tre Casini li troviamo all’incrocio tra l’attuale via Calò e via Lucrezia Romana, sotto le fondamenta della palazzina della famiglia Spizzichini che lì oggi ha la sua importante vendita di semenze… no, no quei semi con la questione del concepimento non centrano nulla… però a pensarci bene… l’assonanza fa uno strano effetto!

Tornando alla prima strada ferrata pontificia che, appena conclusa la prima metà dell’Ottocento, attraversa il piccolo teatro del nostro racconto, possiamo senz’altro affermare che fin dalla prima antropizzazione nulla aveva cambiato quel territorio più dell’arrivo della ferrovia.

Affermazione perentoria e scontata: è accaduto pressoché in ogni luogo dove è arrivata una qualsiasi ferrovia. Ma per comprendere a pieno la portata del mutamento del territorio attraversato, dobbiamo riflettere sui meccanismi che vengono messi in moto: si rimette in discussione sia l’unitarietà precedente che i suoi punti notevoli. Luoghi da sempre uniti si separano per sempre, punti lontani, appartenenti a territori con un precedente diverso assetto ed unitarietà si ritrovano improvvisamente vicini perché sulla stessa linea, luogo preferenziale di passaggio. Punti fino ad allora privi di importanza diventano nuovi luoghi notevoli del territorio, di accumulazione di servizi, scambi, arrivi, partenze: nascono le stazioni.

Una torre semaforica, un ponte, una fonte, un tipo di coltivazione, una caratteristica mineralogica, che fino ad allora hanno segnato la caratteristica di un territorio, perdono la loro importanza. Sui nuovi punti notevoli si pone un’attenzione più ampia anche al di là dei confini originali, ristretti, che precedentemente marcavano il territorio.

Ve n’è abbastanza per un vero sconvolgimento di ritmi e cadenze sperimentate da millenni.

Va poi aggiunto che nel territorio che stiamo considerando a questo fattore di mutamento si affianca, quattordici anni dopo l’inaugurazione della linea, un altro fatto dirompente: a 14 km la capitale dello Stato Pontificio diviene la capitale del Regno d’Italia; la Roma di 176.002 abitanti registrati dal Censimento pontificio del 1853 diviene la città dei 542.123 del Censimento italiano del 1911 e l’aumento della domanda di derrate investe tutto l’enorme territorio dell’Agro romano, ma anche della Comarca.

Diviene sempre più conveniente la produzione agricola anche in luoghi dove gli investimenti per tale attività erano fino ad allora troppo onerosi; tra questi, il territorio che stiamo indagando è particolarmente appetibile sia per la gran vicinanza che per la struttura ferroviaria a portata di mano.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’intera area non è abitata e si presenta ancora sostanzialmente divisa in due zone con caratteristiche completamente diverse. Una si inerpica sulle prime pendici del complesso vulcanico, una piccola striscia da millenni terra di pastorizia (lo testimonia il tratturo preromano di transumanza dai Tiburtini al mare che qui coincide con la via Cavona e la via del Sassone); l’altra occupa gran parte di ciò che i geologi chiamano il “Tavolato di Ciampino”, la parte più bassa, accumulo di acque che dai Castelli scendono incontrollate nei periodi storici che la manutenzione di opere di irreggimentazione è abbandonata o non sufficiente, divenendo per tanto terra di malaria. Questa situazione dura qui immutata fin oltre la seconda metà della seconda decade del ‘900.

La trasformazione dell’uso di un’area da pastorizia ad agricola modifica il paesaggio, ma soprattutto sconvolge i rapporti economici e sociali. Ridotti al minimo nel primo caso, estremamente complessi nel secondo.

Nel primo caso sono due gli attori. Il latifondista (nella situazione che stiamo indagando, gli eredi Colonna) che attendono fiduciosi e rilassati nel proprio palazzo principesco il secondo attore, il pastore che gli porta, nei tempi stabiliti il canone stabilito. Modalità in linea con l’immutabilità davvero millenaria di questa situazione.

Nel secondo caso nulla è dato per scontato, tutto cambia momento per momento, ma soprattutto chi ritiene di dover godere dei frutti della nuova attività, se vuol continuare ad aspettarli a casa ha necessità di uno snodo tra la sua proprietà fondiaria e le braccia che sono in grado di lavorarla.

Si fanno avanti fattori, amministratori, curatori vari.

I loro servigi, che riguardano la scelta dei lavoranti, del relativo compenso, del controllo sulla loro fatica, della vendita dei prodotti, presto danno risultati eccellenti. Queste figure indispensabili nel nuovo contesto socio-economico, cominciano a chiedere di esser ricompensati per i loro servigi anche con la proprietà di parte dei terreni che curano e, contestualmente, si registra un progressivo arretramento delle proprietà dei nobili.

Lo stile di vita di quest’ultimi, bisognosi sempre più di liquidità, accelera vieppiù questo inevitabile processo che porta i soggetti dell’intermediazione sopra descritta a divenire i veri nuovi decisori delle scelte territoriali.

Spero di aver così spiegato perché il Cav. Capri Cruciani, pur essendo un “Cav solo cav” nell’area “di chi conta” c’era già entrato e tra quelle stanze principesche non ci stava certo per caso quel 14/12/1916.

Ma il mutamento socio-economico è ancora più complesso; si affaccia sulla scena anche un motore indispensabile della trasformazione: i detentori di quelle braccia che sono i veri attori della nuova economia, i Lavoratori, i Contadini, che pur di lavorare sono disposti a sottoporsi a grandi spostamenti anche giornalieri, anche su grandi distanze. Disposti ad adeguarsi ai ritmi stagionali della produzione, come da sempre facevano in tutta l’area castellana, al punto di accettare pendolarismi interregionali partendosi dai loro paesi d’origine nelle Marche, Umbria, Ciociaria e le altre zone del sud del Lazio e ritornandovi quando si chiudeva il taglio del legname nei boschi castellani, le varie fasi di cura della vigna, la raccolta delle olive, e quant’altro gli si chiedeva pur di portare a casa l’indispensabile per sé e per la loro famiglia.

 

Da un certo momento in poi si accorsero che l’area di ricerca del lavoro s’era allargata anche alla zona alta del piccolo territorio oggetto del nostro racconto, e da un certo momento in poi cominciarono a guardarsi intorno:

Nel ’22, nei boschi di Rocca Priora in una capanna, come il bambinello, nasce la mia figlia. Da questo momento sempre più forte era il bisogno di stabilirmi nei luoghi dove fosse possibile trovare lavoro. È a Marino, dalle parti di S. Anna che trovammo il primo posto fino al ’24. Lì voci in giro dicevano che all’Acqua Cetosa c’erano altre famiglie di Marchigiani. Ci mettemmo a spia e nel 1930 all’Acqua Cetosa comprammo casa e vigna e ci ho passato il resto della mia vita vendendo la mia frutta, lavorando nell’edilizia nelle pause del lavoro della terra. Col mio carrettuccio portavo la frutta in piazza a Ciampino, a Cava dei Selci, Frattocchie, S. Maria”.

Queste le parole che raccolsi da un anziano signore dell’Acquacetosa tanti anni fa da studente.

Mi parlava di quello che era già diventato “il paese della speranza” che ci ha fatto scoprire con i suoi romanzi Maria Lanciotti.


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