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Gianfranco Cercone. “The Fabelmans” di Steven Spielberg
26 Dicembre 2022
 

Una caratteristica ricorrente nei racconti popolari è l’immediata riconoscibilità dei fatti e dei personaggi, che dovrebbero insomma essere tali da poter essere decifrati, interpretati, senza nessuno sforzo da qualsiasi spettatore.

Si sa che un campione del racconto popolare, almeno nel cinema americano, è ormai da decenni Steven Spielberg. E della sua abilità a rendere facilmente intellegibili anche le emozioni, le psicologie, che nutrono i suoi racconti - a rischio di cadere a volte nella semplificazione, nella convenzionalità - dà ampia prova anche nel suo ultimo film, di argomento almeno in parte autobiografico, intitolato The Fabelmans (che è il nome della famiglia di cui racconta).

Così, per esempio, già nel primo episodio del film, la vocazione cinematografica del protagonista ancora bambino, è fatta trapelare attraverso lo sguardo incantato che resta fisso nei suoi occhi anche dopo aver visto al cinema il primo film della sua vita, mentre torna a casa in macchina insieme ai suoi genitori.

Di esempi di questo genere nel film se ne potrebbero trovare innumerevoli. Ma voglio invece soffermarmi su due casi in cui questa volta l’autore invita il pubblico a un’interpretazione meno automatica dei fatti che gli vengono esposti, in cui per esempio è difficile stabilite dove è il bene e dove è il male, dove le stesse motivazioni intime dei personaggi sono ambigue e restano almeno in parte oscure.

Il primo caso riguarda l’adulterio commesso dalla madre del protagonista. Era già cosa evidente, conclamata nel racconto, come la madre, nella coppia dei suoi genitori, rappresentasse l’aspetto artistico, emotivo, irrazionale, mentre il padre, un ingegnere informatico, rappresentasse l’aspetto scientifico e razionale. Ma questa contrapposizione non precludeva l’amore e l’armonia familiare, essendo il padre sempre premuroso nei confronti della moglie, e poi fedele, e preoccupato di garantire a lei e ai figli un buon tenore di vita. Il tradimento che lei commette, perdipiù con il miglior amico del marito, potrebbe dunque apparire una colpa imperdonabile, che il figlio in primo luogo, dopo averla scoperta, le imputa con un furore puritano.

Ma è forse proprio allora che quella famiglia, che prima poteva esserci sembrata tanto felice, ci appare come una prigione, e l’affetto che sembrava unirla come un ricatto sentimentale. Del resto la donna non aveva sacrificato il suo talento di pianista al ruolo di moglie e di madre? L’adulterio non può essere allora una forma di ribellione tardiva, di rivendicazione della propria libertà?

Il secondo caso riguarda direttamente il protagonista che, ora adolescente, studia in un liceo in California. Essendo ebreo, viene “bullizzato” da due compagni di scuola. Uno di questi è un atleta, alto e biondo, che un giorno gli tira un pugno sul naso.

Ebbene, quando il protagonista, che già dirige i suoi primi film amatoriali, è incaricato dalla scuola di girare un film su una gita in spiaggia, ritrae il suo persecutore come uno splendente campione sportivo. Ora, perché lo fa? Per manifestargli la sua superiorità morale? Per procacciarsi la sua simpatia? O perché ne è masochisticamente affascinato?

Malgrado le spiegazioni che i personaggi danno dell’episodio, i suoi moventi restano ambigui. E allora può venir fatto di ricordare un altro personaggio di Spielberg, il direttore di un campo di concentramento nazista, nel celebre Schlinder’s list, che emanava un fascino sinistro.

Sono comunque proprio le ambiguità e le contraddizioni che rendono, a mio parere, The Fabelmans superiore alla maggior parte dei pur ottimi prodotti commerciali che Spielberg ha realizzato nel corso della sua lunga carriera.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 dicembre 2022
»»
QUI la scheda audio)


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