Osvaldo Casanova, Gino Cervi
e Gianni Sacco
Calciorama
I colori della passione
Hoepli, 2022, pp. 336, € 29,90
L’albiceleste va di moda. Una combinazione di colori molto riuscita per una maglia fascinosa indossata dai campioni del mondo argentini. Ancora dimora negli occhi l’epocale partita fra Argentina e Francia del 18 dicembre 2022: un 3-3 concentrato di pathos e di emozioni senza fine. Uno spettacolo da deliziare sensi e intelletto.
Uno dei primi capitoli di Calciorama-I colori della passione – testi di Gino Cervi e Gianni Sacco, copertina e illustrazioni di Osvaldo Casanova – è dedicato al biancoleste: non solo Argentina tuttavia, ma anche Lazio con il suo deus ex machina Silvio Piola, fantastico centravanti le cui radici stavano fra Lomellina e Vercelli, recordman di reti nella storia calcistica del Bel Paese, campione del mondo 1938, ma mai uno scudetto in tasca. Sono 336 pagine che scorrono come un fiume: di colori e passione per l’appunto, sottotitolo perfettamente emblematico.
Attraverso i colori delle più varie rappresentative, nazionali o club che siano, Cervi e Sacco hanno sviluppato una storia del calcio mondiale, all time, quanto mai originale, ricca di aneddoti e curiosità, con un impianto storico formidabile e un empito sentimentale preziosissimo.
Si parte con l’arancione. E come non pensare all’Arancia meccanica che fu l’Olanda del 1974 (e, pur priva di Cruijff, quella del 1978), una équipe che rivoluzionò la concezione del gioco, dove tutti attaccavano e tutti difendevano, in un’occupazione degli spazi geniale, tecnica e atletismo al massimo grado (“Cruijff si muoveva agile e poi – swuososh! – faceva qualcosa di totalmente inaspettato. Poteva muoversi in un senso e di colpo cambiare completamente direzione”, David Winner). Ma la casacca arancione è anche della Pistoiese e di colui che nell’opinione generale viene considerato il più grande bidone nella storia del calcio italiano, tale Luis Silvio Danuello, dal Brasile alla Toscana a non miracol mostrare. Chissà da dove proveniva il buon vecchio Luis Silvio? Ma il calcio si nutre anche di figli di un dio minore...
Dopo l’orange, nel dipanarsi del volume, è la volta dell’azzurro, del bianco, dell’anzidetto biancoceleste, del bianconero, del biancorosso, del blu, del giallo, del gialloblù, del giallorosso, del granata, del grigio, del nero, del neroazzurro, del rosso, del rossoblù, del rossonero, del verde, del viola, per finire con il multicolor. Una spettacolare carrellata, una discesa nei più bei meandri della storia del calcio attraverso l’iride.
Nel capitolo dedicato all’azzurro fa giustamente la parte del leone il Napoli e con i partenopei il numero 10 per eccellenza, il sacro mancino che Diego Armando Maradona fu: ineffabile, sommo artista, quello de “La mano de Dios y el gol del siglo”. Quello, con buona pace di tutti, assieme a Pelé, la quintessenza del gioco. “Barrilete cosmico... de qué planeta veniste?”, urlava il telecronista argentino Victor Hugo (ah i nomi del Sud-America...) Morales. E azzurra è anche la nostra Nazionale, lascito dei Savoia – almeno questo ancora gradito. Una divisa sportiva che ha fatto sognare e disperare in egual misura.
“Non ho motivo di scegliere. Per il Madrid non ci sono vittorie incompatibili, vogliamo tutto”, dixit Javier Marías. Il Real Madrid è, semplicemente, una leggenda, con 14 Coppe dei Campioni/Champions League in bacheca e, una sterminata galleria di campioni nel cinema della propria anima. Basti citare Alfredo Di Stéfano, la Saeta Rubia, secondo Brera il più gran footballer di ogni tempo, uno che giocava in ogni punto del campo e in ogni punto del campo era decisivo, il francese Kopa (nato Kopaszewski), Ferenc Puskás, il magiaro dal sinistro fatato, attaccante di un altro dei più grandi team della storia, l’Ungheria che perse inopinatamente contro la Germania Ovest il mondiale del 1954 dopo essere stata avanti 2-0. Una squadra che sembrava invincibile (giocava in rosso).
E in bianco si schierano anche i brasiliani Santos (inscindibile dall’immagine di Pelé) e Corinthian FC, quello del Dottor Sócrates, che s’inventò un’autogestione dei calciatori denominata Democracia Corinthiana. Esperimento socio-calcistico senza eguali. In Italia il bianco è della Pro Vercelli, provinciale terribile (7 tricolori), del Padova (un terzo posto in serie A con Nereo Rocco negli anni Cinquanta). E ancora Inghilterra e Germania.
Quando si dice bianconero inevitabilmente vien da pensare alla Juventus. Il capitolo si apre con il racconto dedicato a Carletto Parola e alla sua celeberrima rovesciata, icona e simbolo senza tempo: “Il capitano bianconero sembra in ritardo di posizione e sta per essere scavalcato dalla traiettoria alta del pallone. Mentre Pandolfini già pregusta d’involarsi libero, lui e la palla, verso la porta avversaria, Parola sorprende tutti con un gesto che, anche se nessuno all’epoca ancora se lo immagina, diventerà tra i più iconici nella storia del calcio. Destro d’appoggio, sinistro di slancio e richiamo ancora col destro a sforbiciare: il pallone viene colpito di collo pieno e rinviato lontano, dove non rappresenta più una minaccia per il proprio portiere”. Una sfida alla forza di gravità e alle leggi dell’equilibrio, istinto, atletismo e classe. Bellezza, in breve.
Fra le squadre in bianconero citiamo anche il Cesena e l’Udinese, nelle cui file Zico deliziò.
Doveroso, quando si parla di biancorosso, ricordare il Lanerossi Vicenza di Paolo Rossi. Pablito che vive nel cuore di tutti, uno dei principali artefici del trionfo mundial azzurro nell’anno del Signore MCMLXXXII. E una pagina è dedicata a quel gran talento, calcistico e soprattutto esistenziale, che fu Ezio Vendrame, poeta del pallone e non solo.
In Spagna in biancorosso evoluisce l’Atletico Madrid: i colchoneros, alias materassai, sfortunatissimi protagonisti di finali di Coppa dei Campioni/Champions League, come quella che nel 1974 stavano vincendo 1-0 contro il Bayern Monaco, quando subirono allo scadere, al 120!, un gol su ciabattata da lontano dello stopper Hans-Georg Schwarzenbeck. Allora non si tiravano i rigori per decidere il vincitore. Nella ripetizione della partita i bavaresi di rosso bardati vinsero 4-0 iniziando in tal modo la propria dynasty.
Per quel che concerne il blu si spazia dal Chelsea – e il suo Magic Box, tale Gianfranco Zola da Oliena – al Leicester che, magicamente condotto dal nostro Claudio Ranieri, ha vinto una Premier League, una delle maggiori imprese sportive mai verificatesi, all’Everton e al Rangers Glasgow. Per non parlare della Scozia. Decisamente il blu è gettonatissimo in Britannia e dintorni. Ma il blu è anche la couleur dei nostri cugini transalpini e di quella furia tecnico-agonistica di Kylian Mbappé. E lo fu della sepolta Jugoslavia.
“La rivoluzione sociale in marcia si ferma meravigliata a vedere il signor Mané palleggiare e poi proseguire il cammino”, Vinícius de Moraes. Giallo oro (e verde) è il Brasile. Auriverde. Fútbol bailado. Una sequela di campioni mitici. Da Garrincha, una gamba molto più corta dell’altra e una finta diabolica, gioia del popolo, al sinistro del gatto magico Rivelino, inventore di quel raffinato gesto tecnico chiamato elastico. Lunga e ben articolata è la narrazione dedicata a Garrincha, figlio privilegiato dei numi del calcio e così sventurato poi nel suo lento implacabile declino umano.
Gialloblù... Svezia, Verona (e l’incredibile scudetto 1985 con in panca Schopenhauer Bagnoli) e Boca Juniors, i genovesi di Buenos Aires.
Giallorosso... Roma e il divino Falcão, il dribbling irresistibile di Bruno Conti, Fuffo Bernardini, in un’altra latitudine scopritore del Peppin Meazza, Agostino Di Bartolomei, il capitano silenzioso dal tiro proibito e dalla tragica fine. E Catanzaro, Messina, Galatasaray, Mechelen.
Granata... La sola parola evoca la leggenda del Grande Torino, perito per intero a Superga nel 1949, l’aereo a schiantarsi fra pioggia e nebbia sulla collina contraddistinta dalla splendida basilica di Filippo Juvarra. Valentino Mazzola che si tirava su le maniche nel famoso quarto d’ora granata quando non si indulgeva più in alcun modo... “La tua faccia da operaio, mio Valentino! Mio Castigliano, Riga, Loik, e quel precisino di Gabetto, che faceva impazzire tutti con venti dribbling, e poi era già gol”, scriveva Giovanni Arpino. Pagine e pagine si dovrebbero scrivere sul Toro.
“Rivera non era solo il Golden Boy (el Bambino de oro, tradotto in rocchiano) e l’Abatino. Era anche chiamato Nureyev per l’eleganza dei movimenti”. La bella descrizione è del compianto grandissimo Gianni Mura. Parliamo del grigio dell’Alessandria dove iniziò la sua meravigliosa carriera uno dei più forti calciatori di tutti i tempi e continenti. Una divisa bellissima quella dell’Alessandria, come la nebbia cha avvolge, ovatta e protegge quelle mura e quella pianura.
Del nero celebriamo la maglia del Casale, con il suo bianco stellone. Campione d’Italia 1914, non dimentichiamolo.
Nerazzurro vuol dire Inter. Vuol dire Meazza, vuol dire Ronaldo, vuol dire Grande, come l’Inter che dominò Italia-Europa-Mondo dal 1963 al 1966, e i suoi ultimi fuochi del 1971 e del 1972. Vuol dire Triplete (anno di grazia 2010). Al Fenomeno gli autori dedicano un amplissimo excursus e ben meritato. Mai s’era visto un attaccante con quella velocità abbinata a un controllo di palla splendido, con tutti i colpi del repertorio, finte e controfinte, dribbling ubriacanti, fortissimo fisicamente, capace di andare da porta a porta seminando difensori come birilli. La Beneamata, il Biscione è una delle squadre più amate in Italia e nel mondo. Pazza, fantasiosa, imprevedibile.
Altre nerazzurre importanti sono Atalanta e Pisa. Ma ci piace citare anche Latina, Civitavecchia, Bisceglie, Imperia e, in Belgio, il Bruges.
Rosso significa in primis Manchester United e quel mostro di classe e imago pop che era George Best – “Se non fossi stato cosi bello, non avreste mai sentito parlare di Pelé!”. Ma Eric Cantona pure è nell’empireo dell’immaginario calcistico: superclasse e una testa oltremodo pensante anche sui temi sociali più scomodi, evitati per il solito dalla banalizzazione strumentale del gioco.
Il Liverpool in ogni caso non è da meno quanto ad appeal e vittorie. E che dire del Nottingham Forest? “Nel 1865 un gruppo di esuberanti ragazzotti decise di fondare il club e pensò di vestirsi con il Garibaldi Red in omaggio alla popolarità dell’Eroe dei Due Mondi che probabilmente per coraggio, patriottismo e spirito di ribellione da quelle parti ricordava il concittadino Robin Hood”.
Altri rossi famosi: la Triestina, seconda nel 1947-48, e il Benfica di Eusebio; il Perugia del rivoluzionario Sollier, squadra capace di terminare imbattuta, sotto la guida di Ilario Castagner, il campionato 1978-79.
Rossoblù... Il Bologna che tremare il mondo fa. E Biavati, Schiavio, Puricelli, Haller, Nielsen, Bulgarelli, Ezio Pascutti, di cui ancora si ricorda il celebre volo orizzontale a precedere la Roccia Burgnich per colpire di testa la sfera in un Bologna-Inter 3-2 nella stagione 1966-67. Il Bologna era la squadra per cui tifava PPP, appassionatissimo di calcio. Con questo binomio di colori giocano anche il Genoa, 9 scudetti, la più antica squadra squadra italiana, e il Cagliari di Giggirriva. Blaugrana è poi il Barcellona. Anche qui si dovrebbero spendere pagine e pagine di narrazione.
Rossonero... “Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo negli avversari”, siffatto era il proposito di Herbert Kilpin, fondatore del Milan, l’altra squadra di Milano, altrettanto onusta di trofei e di gloria, alfiere il principesco Giannino Rivera. Ma anche i due Maldini, Mastro Liedholm, Franco Baresi, Marco van Basten, il cigno di Utrecht, una tecnica sopraffina, quasi irripetibile. E rossonero è il Foggia, ricordato per il bel gioco del profeta Zeman, cosi come il Flamengo.
Verde... il Camerun di Roger Milla, la Nigeria, l’Irlanda, l’Avellino, il Saint-Étienne.
Viola... La Fiorentina, specchio di una città che ha pochi eguali quanto a storia e bellezza, oltre che una passione sconfinata per il calcio. Per il bel calcio: Julinho, Antognoni, Roberto Baggio, Batistuta, Rui Costa... L’Anderlecht di Bruxelles. Lilla è il colore del Legnano.
Poi ci sono le squadre multicolor. “Vedere giocare Sampdoria è come sentire bella musica”, Vujadin Boskov. Interessante il capitolo dedicato al St. Pauli di Amburgo, Zweite Liga tedesca: club che vuol coniugare agonismo e partecipazione, impegno sociale. Gli amburghesi godono di un tifo trasversale imponente.
In definitiva Calciorama-I colori della passione (edito da Hoepli), del quale sono stati dati cenni e spunti, suggestioni, è un testo di vastissima portata. Un libro di calcio e, nel contempo, un volume di storia, scorrevolissimo e documentatissimo, fonte di innumerevoli e anche rare notizie. Un lavoro di ricerca davvero lungo, quello cui si sono sottoposti gli autori, che spazia accontentando e suscitando curiosità. Diviso in capitoli, sottocapitoli e schede, il libro ha il pregio di una ricchissima varietà e le tante illustrazioni, fra astrazione e precisione filologica, aggiungono pregio.
Per ogni amante dello sport, della storia e della buona lettura un libro da conservare gelosamente nella propria biblioteca o da regalare.
Alberto Figliolia