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Roberto Dell’Ava. Nove domande a Umberto Petrin 
In concerto l’11 gennaio prossimo a Chiavenna
09 Dicembre 2022
 

Sette anni fa, il 2 marzo 2015, nella precedente versione web di Tracce di Jazz pubblicavo questa intervista a Umberto Petrin, pianista tra i più interessanti della scena europea, e figura di intellettuale serio e preparato in diversi campi artistici. Non tutto il vasto materiale di Tracce di Jazz nella precedente vita è andato perduto, il recupero di questa intervista mi è suggerito dal concerto che vedrà Umberto nel Teatro della Società Operaia di Chiavenna l’11 gennaio prossimo in un concerto in solo con la proiezione di due brevi filmati di Buster Keaton. Spero che la risposta di pubblico sia adeguata alla caratura della proposta e incrocio le dita: in questi tempi difficili il teatro si riempie solo se il protagonista è comparso o compare in televisione, a prescindere dal livello e qualità della trasmissione. A mio parere, anche se sono trascorsi diversi anni, le risposte del pianista sono interessanti e meritano una riproposta.

 

Abbiamo incontrato Umberto Petrin, considerato uno dei migliori pianisti jazz della scena europea. Diplomato in pianoforte al Conservatorio, si è interessato attivamente di poesia e pittura. Ha realizzato oltre 80 C D, molti dei quali premiati dalla critica, insieme a musicisti quali: Steve Lacy, Anthony Braxton, Cecil Taylor, Lester Bowie, Tim Berne, Lee Konitz, Enrico Rava, Paolo Fresu, Jean Luc Cappozzo e molti altri. Ha affrontato ogni stile jazzistico e si è distinto per un personale linguaggio che unisce stilemi monkiani e musica del 900 europea.

Notevole successo riscuotono gli album: Breath and Whispers in duo con Lee Konitz (1994), Monk’s World (con l’avallo del poeta Amiri Baraka. Piano Solo 1997) ed Ellissi (con ospite Tim Berne, 1999). Nel 1997 è invitato nella prestigiosa formazione italiana Italian Instabile Orchestra, con la quale svolge tournée in tutto il mondo. Resta nell’Instabile fino al 2009. Dal 2001 collabora con la Cineteca Italiana di Milano per la sonorizzazione di importanti film muti restaurati. Nel 2004 costruisce un importante concerto/performance per pianoforte-elettronica e video, Beuys Voice, insieme a Lucrezia De Domizio, storica e seguace del pensiero beuysiano, sull’ultimo prezioso video dell’artista tedesco Joseph Beuys. La performance già ripetuta circa 15 volte in Festival e Musei d’Europa (alla 52ª Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia, all’Anfiteatro Greco di Sparta, in Spagna, all’Auditorium di Girona, alla Kunsthaus di Zurigo, al Teatro di Pisa, Napoli, Grosseto…).

Nel 2011 Beuys Voice diventa anche un libro ed un C D, pubblicato da Mondadori Electa e presentato ufficialmente al Kunsthaus di Zurigo, con il supporto vocale del soprano Susie Helena Georgiadis. Dal 1999 inizia un sodalizio artistico con Stefano Benni, uno tra i più famosi scrittori italiani. Dal 2000 costituisce un duo ed un trio con Gianluigi Trovesi, con il quale ha pubblicato un c d per la prestigiosa etichetta ECM (Vaghissimo ritratto, 2007), pluripremiato dalla critica. Nel 2006 costituisce un duo con il trombettista francese Jean-Luc Cappozzo, col quale realizza un c d (Law Years) per l’etichetta SOUL NOTE (2007). Compie vari tour in Svizzera, Germania, Spagna. Realizza un nuovo impegnativo progetto insieme a Stefano Benni, realizzando ed eseguendo le musiche per The Waste Land di Thomas Stearns Eliot, pubblicata su c d-audiolibro (con Benni come voce recitante).

Nel 2011 pubblica in solo A dawn will come per l’etichetta inglese Leo Records (che ottiene un notevole successo di critica, valutato eccellentemente dalle riviste Jazz Magazine francese, dalla belga Free Jazz e risulta tra i migliori album del 2011 nel sondaggio U.S.A di CultureCatch) e costruisce un nuovo progetto con live electronics. Al Festival Iseo Jazz 2011 è invitato per eseguire un intero programma su brani originali di Cecil Taylor in “Piano Solo”. Nel 2012 si esibisce a “The Stone” di New York. Nel 2014 pubblica in Piano solo un nuovo album, Traces and Ghosts (Leo Records-UK) che ottiene pieno successo di critica e viene riconosciuto come “Disco CHOC” dalla rivista francese Jazz Magazine-Jazzman. Successivamente suona in Piano solo al Festival Jazz di Lisbona e nuovamente a New York, allo Spectrum. Inizia una collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e con il CERN, dai quali è invitato più volte ad esibirsi nell’ambito dei Festival della Scienza.

Nel 2017 esce l’album Twelve Colours and Synesthetic Cells (Thinking of Alexandr Skrjabin) in duo con Gianluigi Trovesi. Nel 2018 è invitato dalla cantante brasiliana Rosàlia De Souza come ospite nel suo nuovo album, Tempo (NAU Rec.). Alcuni brani del C D portano la sua firma. Realizza una serie di puntate musicali per la RSI 2 Svizzera insieme al vocalist Boris Savoldelli. Invitato come ospite nell’ensemble L’Arpeggiata di Christina Pluhar, nel 2019 costituisce un nuovo duo con Tino Tracanna (sax) e nel 2020 inizia una collaborazione con il quartetto Lunatics del percussionista Francesco D’Auria, insieme allo stesso Tracanna al sax e a Roberto Cecchetto (chitarra el). Il suo nuovo album Everybody Dance – The Music of Chic esce in edicola nel febbraio 2022 come allegato al mensile Musica Jazz ed ottiene un notevole successo. Insieme al pianista sono presenti Danilo Gallo al basso elettrico e Ferdinando Faraò alla batteria, a cui si aggiungono in alcuni brani la voce di Alessia Marcandalli e il synth di Giacomo Jack Zorzi.


Tracce di jazz) In tempi in cui l’ascoltatore medio è sempre meno curioso e acculturato e tra gli stessi musicisti molti sono coloro che non frequentano altro che il proprio territorio, un musicista che come te è attento al dialogo tra i diversi linguaggi artistici è quanto meno un personaggio raro. Come e in che modo la tua sensibilità riesce a filtrare musicalmente le suggestioni e le ispirazioni che provengono dalla poesia, dalla letteratura, dalla pittura?

Umberto Petrin) Ti ringrazio per questo apprezzamento. La mia indole mi ha sempre portato a cercare forme di bellezza attraverso l’approfondimento di differenti linguaggi e questo a volte mi ha causato, nell’ambito jazzistico, accuse di snobismo, come se fosse un difetto parlare di arte o valicare anche di poco i limiti del proprio genere. Però io ho sempre considerato la musica Jazz come una forma d’arte e difendo tuttora questo concetto di fronte a chi la vede solo come elegante intrattenimento o sterile sfoggio spettacolare di superflui tecnicismi.

Esistono ancora, come tu rilevi, musicisti che considerano semplicemente un segmento di questo genere, alcuni come se andasse dal 1925 al 1958, definendo “free” tutto quanto non riescano a decifrare ma, per contro, ce ne sono altri che vedono il Jazz iniziare nel 1960 senza pensare che James P. Johnson, Jelly Roll o Bix Beiderbecke erano già avanguardisti.

È un errore culturale, per evitare il quale ho cercato in passato di praticare ogni stile, suonando sia in gruppi dixieland, sia nel “mainstream” (un efficace periodo di “esercizi di stile”) che nelle formazioni d’avanguardia. Tutto mi è stato utile e mi sono divertito, ma contemporaneamente non abbandonavo lo studio degli autori del ‘900 e di Bach o Scarlatti e “l’ampliamento del pensiero”.

Per la verità non ero partito con l’intenzione di fare il musicista: in precedenza avevo già coltivato altri interessi, che prima o poi sarebbero confluiti nella musica che era nei miei progetti realizzare.

 

Tdj) Puoi spiegarci meglio il tuo percorso?

UP) Sono nato e ho vissuto per molti anni a Casteggio in un caseggiato piuttosto “rustico”, che tuttavia conteneva un vero microcosmo di creatività e di umanità. C’erano un’osteria, la falegnameria, la drogheria, il lattoniere, il gioco di bocce, il pittore folle e squattrinato che viveva senza luce né riscaldamento. I clienti dell’osteria erano già un mondo.

Fin da bambino mi sono avvicinato alla letteratura grazie a due lettori incalliti: mio padre (che era, come si diceva allora, operaio specializzato) e il falegname (dal quale sentivo parlare spesso di Hemingway). Crescendo ho trovato nella Poesia il linguaggio che mi sembrava accendere la mia creatività, ma pensavo che per elaborare un linguaggio personale sarebbe stato necessario un grande studio e l’approfondimento del pensiero (Salinger scriveva che “per scrivere un libro di poesie occorre una grande forza fisica”).

Nel frattempo studiavo Chimica all’Istituto Tecnico e avevo iniziato a dedicarmi al Pianoforte incuriosito da mia madre, che aveva svolto l’attività di cantante per anni.

Nella Poesia trovavo il luogo ideale della sintesi, che tuttavia riuscivo a realizzare solo in parte perché avevo l’impressione che alla parola mancasse ancora qualcosa che le permettesse di scintillare.

Quando vidi la prima volta a teatro Carmelo Bene, riconobbi in lui l’artista che era riuscito magnificamente a superare quell’ostacolo. Rimasi folgorato dalla sua performance. Avevo vent’anni e già stavo iniziando le collaborazioni con riviste letterarie e frequentavo mostre e artisti tra cui Walter Lazzaro, uno dei miei veri Maestri (di cui ricorre il centenario della nascita), colui che mi insegnò a leggere la pittura, che ho sempre amato profondamente pur senza praticarla.

Alcune coincidenze mi hanno portato a suonare Jazz e questa nuova esperienza mi ha attratto al punto da riconoscervi il mio idioma ideale, quello attraverso il quale cercare di esprimere le idee che stavo maturando.

Non ho comunque mai abbandonato la scrittura e non è detto che in futuro non ci ritorni seriamente. Alcuni cari amici Poeti che rivedo saltuariamente, come Milo De Angelis o William Xerra, mi invitano a riprendere il discorso. Vedremo, non mi spiacerebbe un giorno scrivere un libro, ovviamente non una di certe inutili e autocelebrative autobiografie o cosette scritte “tanto per vendere” (ho troppo rispetto per gli alberi), intendo “un libro”…

 

Tdj) Leggere la biografia che appare sul tuo sito internet è impressionante per varietà di contesti e di situazioni. A tale quantità di interessi e di frequentazioni non è però ancora corrisposto un riconoscimento pieno e adeguato soprattutto da parte dei media nazionali, più propensi a riproporre nominativi già abbondantemente sotto i riflettori anche se magari non sempre in grado di offrire proposte di grande qualità. Nulla di nuovo naturalmente, ma immagino che sia frustrante…

UP) Glenn Gould sosteneva che un Artista è un essere costantemente in pericolo. Cito anche una bellissima frase dell’artista cinese Ai WeiWei (sulla cui figura ho recentemente realizzato un progetto con Boris Savoldelli): “…gli artisti cinesi spesso si fanno da parte davanti alla storia, alle condizioni cui loro stessi si trovano a vivere e alle responsabilità d’essere artisti. Si trova più gusto nei risultati delle aste, nella fama, nel denaro. Pochi artisti sollevano questioni che riguardano l’umanità o la filosofia, oggi”. Forse questa affermazione potrebbe essere estesa a un ambito “globale”.

Credo che a tutti i livelli ciascuno soffra di una parziale insoddisfazione, condizione naturale dell’artista ma ciò che mi capita di vedere soprattutto in questo periodo, dall’aula di lezione alla strada, mi porta a sentirmi comunque favorito dalla sorte.

La possibilità di trasformare la propria passione in un lavoro che ti riempia la vita è già un privilegio e io mi ritengo per questo avvantaggiato rispetto a tante, troppe persone che soffrono e che quotidianamente necessitano di aiuto.

Non ho mai lavorato in funzione della popolarità e del marketing o dell’X Factor. Credo nell’arte del futuro nutrendomi di quella del passato. Chi non è “di moda” a volte resiste più a lungo: è una scelta e non me ne faccio una colpa, anche se ovviamente mi farebbe piacere essere più considerato nel Paese in cui vivo.

Certamente non mancano i momenti di sconforto ma mi arrivano spesso dimostrazioni di stima, gratificazioni impagabili che mi spingono a continuare in questa direzione. Vivere di passioni è drammaticamente bello.

 

Tdj) Hai citato l’aula. Tu insegni al Conservatorio di Piacenza. Quale importanza ha per te l’insegnamento?

UP) L’insegnamento è fondamentale, mi appassiona e mi coinvolge quanto un concerto. In questo agire si concretizza il compimento di un altro aspetto della creatività, che si arricchisce grazie al rapporto umano instaurato con i vari studenti e con gli altri docenti. Il mio intento è di realizzare una corrispondenza tra Arte e Vita, come fece Joseph Beuys. Come lui scopro che questo si attua attraverso l’insegnamento. Al teatro si sostituisce l’aula e quello è il luogo della trasmissione perfetta, del continuo scambio, della riflessione che porta all’approfondimento e quindi a una comune crescita di studente e docente.

Quando ciò avviene, l’aula si riempie di riflettori perchè, come diceva il Maestro tedesco, spesso le migliori opere d’arte si realizzano proprio attraverso questo impegno.

Non intendo limitare l’apprendimento alle sole tecniche del linguaggio jazzistico, che sono solo le necessarie basi da cui partire, ma cerco anche di ampliare la visione verso l’immenso panorama dell’arte e del Pensiero la cui conoscenza è necessaria a chi intenda essere non solo “bravo jazzista” ma anche e soprattutto Artista.

Spero di lasciare a qualcuno almeno un frammento di bellezza, intesa come entusiasmo di fare, di conoscere, di ricercare o semplicemente di vivere. Sarebbe già tanto.

 

Tdj) Cercando riferimenti nel tuo stile pianistico si spazia tra influenze di compositori del novecento e una fortissima componente monkiana. A tuo parere, in che modo e perché Monk è ancora oggi così attuale?

UP) Vediamo i grandi pianisti “classici” che, dopo innumerevoli esperienze, nella maturità decidono di cimentarsi nuovamente nelle sonate di Beethoven o si dedicano a riscoprire le Variazioni Goldberg o l’Arte della Fuga di Bach. Credo che per i musicisti di Jazz, Monk rappresenti qualcosa di simile. È un mondo, il suo, costruito con grande perizia e precisione dei particolari. Ha scritto temi enigmatici e sempre pronti a schiudersi per nuove interpretazioni. Ci insegna a suonare il pianoforte in modo diverso, come accade ad esempio con Debussy o Webern, offre nuove prospettive e riesce sempre a ridefinire i confini del linguaggio jazzistico.

 

Tdj) Anni fa ebbi modo di assistere durante il festival di Clusone al duetto con il batterista chicagoano Pheeroan Aklaff: un set di altissimo livello ed un duo formidabile mai documentato su disco. C’è qualche speranza in proposito?

UP) In occasione di due recenti concerti in “solo” che ho realizzato a New York ho incontrato nuovamente Pheeroan. È venuto ad ascoltarmi e la sua presenza mi ha reso felice. È una splendida persona, un grande Artista, umile, colto e ricco di umanità. Dopo il mio concerto abbiamo parlato a lungo sull’intenzione di riprendere questo duo.

Entrambi siamo consapevoli dell’importanza di non lasciare isolata quell’esperienza e Pheeroan mi proponeva di continuare la collaborazione, sia in Europa che in USA, e ripensare ad una eventuale pubblicazione di un album. Esiste la registrazione del concerto di Clusone, di cui ancora molti parlano a distanza di oltre due anni e spero che presto qualcuno ci aiuti a riprendere questo progetto, al quale resto molto affezionato.

 

Tdj) Dopo i numerosi riconoscimenti critici all’ultimo splendido album Traces and Ghosts in piano solo ho due domande da sottoporti: continuerai la collaborazione con Leo Records e ci sono future novità discografiche allo studio?

UP) Pubblicare per Leo mi ha offerto una notevole visibilità a livello internazionale. È sicuramente una collaborazione importante per me e non la voglio perdere. Sia il precedente album (A dawn will come) che quest’ultimo hanno ottenuto riscontri che non immaginavo. Traces and Ghosts mi ha anche procurato il riconoscimento di “Disco Choc” della rivista francese Jazz Magazine e inviti al Festival di Lisbona dello scorso luglio e successivamente, come già detto, a New York nell’ottobre 2014.

Leo a volte mi suggerisce, visti gli esiti degli album, di produrre altri lavori, ma credo che ormai conosca la mia propensione alla ponderatezza.

Non sono mai stato “assetato” di pubblicazioni, perché spesso l’eccessiva prolificità rischia di annientare la qualità artistica del contenuto, con il rischio di concepire solo inutilità (e dato il problema dello smaltimento dei rifiuti, la cosa potrebbe rivelarsi anche nociva).

Questo vale per tutti, scrittori, pittori…

A New York mi hanno invitato a registrare ed ho accettato, improvvisando in “solo” per circa 50 minuti. Sto ascoltando con calma quella registrazione, con un certo distacco, ma confesso che mi piace molto perché contiene elementi che non erano ancora emersi. Tuttavia non voglio cedere alla fretta, meno ancora all’autocelebrazione, preferendo piuttosto attendere prima di un’eventuale uscita: si vedrà in seguito. Nel frattempo ho avuto alcune differenti proposte da due etichette discografiche italiane di cui apprezzo le scelte artistiche, ma dopo un primo contatto (peraltro piuttosto convinto) non ho ancora avuto un ulteriore riscontro.

 

Tdj) Parlare con te esclusivamente di musica è riduttivo: puoi dirci cosa ti ha appassionato negli ultimi tempi nel campo della letteratura, nella poesia, nella pittura e nella cinematografia?

UP) Questa è una domanda che schiude le mie passioni, perché io vivo di passioni. Cercherò di sintetizzare. Prima di un concerto porto sempre con me almeno un libro.

Ultimamente trovo utile e appassionante la lettura di Thomas Pynchon, uno scrittore dalla creatività inarrestabile e dalla scrittura complessa, che mi aiuta a liberarmi di schemi precostituiti. Le poesie di Frank O’Hara o il mondo drammatico e quotidiano di John Cheever, che trovo ancora più efficace dei dipinti di Edward Hopper. Ho appena acquistato le poesie del grande Emilio Villa (finalmente antologizzate) e Horcynus Orca, capolavoro di Stefano D’Arrigo (finalmente ripubblicato).

Mi appassiona da sempre la saggistica che riguarda l’arte e cito quattro nomi che occupano i miei attuali interessi: Daniel Arasse, Arthur C. Danto, Barbara Rose, Rosalind Krauss.

Mi rivolgo ai libri, alle mostre, ai concerti per cercare un arricchimento al mio pensiero, nuove idee da sviluppare (ovviamente non sempre questo è possibile) e sono felice quando mi capita di riconsiderare e rivedere i miei pareri riguardo a un artista o a un aspetto della vita.

Sono grato a coloro che riescono a cambiare il mio punto di vista, creando nuovi riferimenti. La considero una conquista.

Poi, come sempre, accanto all’attualità ho necessità di un tuffo nel passato, e qui si aprirebbe un capitolo enorme, in cui Rimbaud, Chlebnikov o Pound hanno sempre una posizione privilegiata. Potrei dire di Rimbaud la stessa cosa che ho affermato prima riguardo a Monk. Riguardo all’arte visiva, parlo spesso di pittori ma quasi mai di scultori o “installatori” (non trovo altra definizione). Tra questi posso citare, tra i miei preferiti nell’attualità, Richard Serra, gli italiani Giuseppe Spagnulo ed Eliseo Mattiacci, Olafur Eliasson, lo scomparso James Lee Byars. Una bella mostra che ho visto di recente, durante il mio soggiorno a New York, è stata quella di Robert Gober al MoMA, della quale è utile citare anche il titolo: The Heart is not a Metaphor.

 

Tdj) Spesso quando chiedo ad un musicista cosa sta ascoltando e chi predilige tra i contemporanei (non necessariamente in campo jazzistico) ottengo risposte vaghe: troppo concentrati sui propri progetti per dedicare tempo agli ascolti. Da te mi immagino un diverso tipo di risposta….

UP) Sono un ascoltatore “onnivoro” e vagante, sia per il fatto che cerco stimoli ovunque, sia perché spesso ascolto viaggiando. Dalla dedica su Traces and Ghosts rivolta a Nile Rodgers, ad esempio, si può ricavare la mia passione per il gruppo degli Chic, da lui fondato insieme al formidabile bassista (ormai scomparso da tempo) Bernard Edwards.

Con analogo interesse ascolto Webern o Terry Riley, Morton Feldman o i Kraftwerk, i Devo, i PIL di John Lydon (ex Johnny Rotten dei Sex Pistols).

Sto per acquistare An American Prayer dei Doors e il recente c d del trio di Jacques Morelenbaum, un musicista che ho sempre ammirato.

Un altro album che mi trovo ultimamente a riascoltare è Snakeoil di Tim Berne, che trovo straordinario e che ho recentemente analizzato durante una lezione al conservatorio.

In auto mi piace curiosare anche tra programmi radiofonici come Battiti, Babylon o Musical Box, che spesso propongono ascolti imprevedibili e a volte sorprendenti. Mi informo attraverso riviste come ad esempio Blow Up, che trovo molto aperta ed esauriente.

Anche qui ovviamente vale quanto ho detto per le letture, ho bisogno sempre di un salto nel passato e i questa sezione ad occupare un “posto fisso” (detto da un eterno “precario”) ci sono le Variazioni Goldberg di Bach, una passione che mi segue da anni, sia a livello di ascolto che di studio al pianoforte. Pochi mesi fa le ascoltavo in una recente versione di Sokolov: stavo guidando, tornavo a casa dopo alcune lezioni e dopo un po’ mi sono accorto di aver sbagliato strada ma stavo benissimo, mi trovavo in un mondo parallelo.

 

Roberto Dell’Ava


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