È un viaggio affascinante quello che si compie percorrendo l’itinerario della mostra “Milano. Da romantica a scapigliata” allestita al Castello Visconteo Sforzesco di Novara e visitabile sino al 12 marzo 2023.
Dalla temperie sentimentale del Romanticismo all’esplosione emozionale (e sperimentale) della Scapigliatura. In entrambi i movimenti Milano fu formidabile centro propulsivo, sia sotto l’aspetto letterario sia dal punto di vista artistico.
Introdotta da una grande tela di Francesco Hayez, poderoso esponente della sensibilità romantica e maestro del genere storico, Imelda de’ Lambertazzi, l’esposizione si dipana in otto sezioni: Pittura urbana nella Milano romantica; I protagonisti; Milano, da austriaca a liberata; La Storia narrata dalla parte del popolo; Verso il rinnovamento del linguaggio: dal disegno al colore; “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombiccherata e impiastricciata”; Verso la Scapigliatura; L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato.
Un panorama oltremodo esaustivo per un arco di tempo che copre circa sette decenni, alle soglie della modernità e sua anticipatrice (anche di quella più dirompente).
Come detto, si trascorre dalle visioni e dagli interni urbani di una Milano dalle dimensioni ancora contenute, ma di cui s’indovina l’indefesso fervore (peculiarità peraltro molto meneghina), alle opere più tarde colme di psicologismo, in una ricerca interiore contrassegnata da un’inquietudine e un tormento ignoti ai predecessori.
Hanno un che di commovente i dipinti, fra gli altri, di Giovanni Migliara, Giuseppe Canella, Angelo Inganni: il Duomo, Santo Stefano, Corsia de’ Servi, il Naviglio, il Verziere, lo stradone di Loreto, luogo quasi bucolico, ben distante da quello della contemporaneità. Splendida (non a caso scelta come immagine simbolo della mostra) la Veduta di piazza del Duomo con il Coperto dei Figini, grande olio su tela (176 x 138,5 cm) dell’Inganni: uno spaccato di animata vita cittadina, con le figure sociali più disparate e una superba cura del dettaglio, coppie borghesi, umili lavoranti, cani, soldati. Un quadro da cui i personaggi paiono balzar fuori o in cui, facendo un viaggio nel tempo, si vorrebbe entrare. Bene scrive Elisabetta Chiodini: «Adottando un punto di vista ravvicinato ed un inedito taglio compositivo che pone in secondo piano il monumento più emblematico della città, il Duomo, e fa risaltare, in primissimo piano, uno scorcio affollato del portico dei Figini, Angelo Inganni non solo rinnova gli schemi compositivi della veduta, ma, come osservato puntualmente da Marco Rosci, spostando l’interesse “ottico e mentale” dello spettatore “dalla struttura spaziale architettonica”, caratteristica dei panorami urbani precedenti, “alla cronaca umana e di costume”, elabora una nuova tipologia di pittura urbana dove protagonista dell’opera non è più la città monumentale, ma l’umanità che la abita e la vive quotidianamente. Un’umanità che Inganni conosce profondamente e di cui è parte».
Di grande suggestione e acribia i ritratti di Giuseppe Molteni, “figura poliedrica, pittore, restauratore, ritrattista mondano di fama internazionale e nel contempo sincero pittore della vita del popolo”: la Fruttivendola, il Manzoni, La giovane mendicante, il Ritratto di gentildonna. E siamo alla terza sezione, vale a dire alle grandi pagine delle rivolte popolari contro l’occupante austriaco, prodromiche alla liberazione risorgimentale dal giogo straniero. Sono le Cinque giornate a dominare l’ispirazione di Baldassare Verazzi, Carlo Canella e Carlo Bossoli (questi era di origine ticinese, ma si era formato a Odessa): straordinario momento di unità popolare, sociale e civile. Fra i più gloriosi giorni di Milano. E altissimi esiti formali.
Echi eroici che riecheggiano nella vita quotidiana – Un pensiero a Garibaldi di Domenico Induno, Il ferito visitato dai suoi parenti (episodio della guerra del 1859) e La fidanzata del garibaldino di Gerolamo Induno (i due fratelli erano amatissimi dalla critica e dal pubblico) – ma anche il banco dell’antiquario, il Monte di Pietà, il ritorno dai campi.
Si è ormai virata la boa della prima metà del XIX secolo. Giovanni Carnovale detto il Piccio porta in pittura un linguaggio nuovo, così come Federico Faruffini (in mostra i bellissimi Saffo (222,3 x 145,7 cm) e Toletta antica), artista dal tragico destino, e Filippo Carcano, il cui virtuosistico Giardino con effetto di sole pare, a suo modo, preludere alla rivoluzione degli Impressionisti.
Vespasiano Bignami, Giuseppe Barbaglia e Mosè Bianchi propongono delle stupende scene: rispettivamente, Sola!, Una partita alla morra, Il maestro di scuola. Narrazioni sentimentali, fra il drammatico e il divertito.
Si entra quindi nel cuore del discorso scapigliato con Daniele Ranzoni e Tranquillo Cremona. Di quest’ultimo si ammirano degli autentici capolavori: Il figlio dell’amore, Melodia, In ascolto, La visita al collegio. Per quante volte li si guardi i quadri di Tranquillo non cessano mai di stupire con la loro vaporosa eleganza, l’atmosfera sospesa, una sorta di possente calmo turbine. E splendidi i ritratti del Ranzoni, che ritrae la signora Pisani Dossi, ricostituendo gli sposi poiché il Cremona aveva già ritratto il marito, quel Carlo, diplomatico e raffinatissimo scrittore, antesignano di un certo Gadda.
Chiudono la mostra un gesso e un bronzo, più che ragguardevoli, dello scultore Giuseppe Grandi: Beethoven giovinetto e Pleureuse.
Una mostra impeccabile, che sollecita il sentimento di una feconda nostalgia, nel contempo mostrando i segni dell'inesausta ricerca artistica e suggerendo i motivi e le più travagliare ragioni della contemporaneità.
Alberto Figliolia
Milano. Da romantica a scapigliata, a cura di Elisabetta Chiodini. Castello Visconteo Sforzesco di Novara. Sino al 12 marzo 2023. Mostra promossa è prodotta da Comune di Novara, Fondazione Castello di Novara, METS Percorsi d’arte.
Orari: mar-dom 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperture straordinarie giovedì 8 e lunedì 26 dicembre, domenica 1 e venerdì 6 gennaio.
Info: www.metsarte.com.