Le storie delle proprie origini mi hanno sempre incantato, con le descrizioni di paesini che stanno legati alla terra con la forza della disperazione perché poco a poco si spopolano, avari, prima ancora che di vita, di lavoro. Si trovano soprattutto nel Sud, un meridione che nella sua sventura di essere madre ingrata dei figli mantiene la sua dignità e che così bene ha cantato nella sua pur breve vita Rocco Scotellaro. Più recentemente mi hanno affascinato i versi di Vincenzo D’Alessio, un caro amico purtroppo già scomparso. Ed ecco che allora si spiega il mio interessamento per questa raccolta di Maria Pina Ciancio, poetessa nata in Svizzera, ma poi ritornata nei luoghi delle sue radici, in Lucania.
Anche lei canta la disperazione di chi è costretto ad andare, dell’emigrante che, povero fra i poveri, si mette su un treno sperando in un futuro migliore, con tutto il dolore che può provare chi è costretto a lasciare la sua terra (Evaporano i sogni e dentro i sogni / la storia di mio padre / quella di valigie di cartone cotte al sole / trascinate a mani strette / dentro vagoni neri di carrubi / e sguardi claudicanti aggrappati al finestrino / …). Sono versi quasi sussurrati, nonostante la passione che l’autore riesce a stento a contenere; non ci sono toni enfatici, c’è una malinconia di fondo che stringe piano piano la gola come un cappio e che impedisce alla voce di uscire, di gridare trasformando il dolore in rabbia per una sorte che è una condanna originaria.
Ritrovo in questi versi lo struggente amore per le sue genti di Rocco Scotellaro, il poeta sindacalista verrebbe da definirlo certamente non sbagliando, ma prima di tutto acuto osservatore di una realtà immutabile che sembra senza tempo. In questo migrare, che porta i corpi lontano, ma con le anime che cercano di non disancorarsi da quel piccolo mondo ingrato in cui si è cresciuti, si nota implacabile lo spaesamento (Lo spaesamento, ecco cos’è: / un tempo in cui le mani non sanno più / se stringersi a pugno / o fermarsi / distendersi a ramo sul cuscino). È così che si va con la lacerazione dentro, mentre c’è chi resta, straziato dalla rassegnazione, in un palcoscenico i cui attori recitano la commedia della vita con i loro tradizionali riti, legati ad antichi valori, in cui ritrovano, nel dolore di vivere, il coraggio per vivere.
È indubbio l’amore di Maria Pina Ciancio per la sua terra, i versi delle sue poesie sono palpitanti, sgorgano dritti dal cuore, si fanno immagine e atmosfera, rivelano la ricchezza di un sentimento inalienabile.
In questo quadro mi pare logica una poesia dedicata a Rocco Scotellaro, di cui ebbi a scrivere, recensendo Tutte le poesie 1940 – 1953, il suo tratto distintivo e cioè che “Mai fu più intensa una così breve vita”. Lo scopo è di renderne il ricordo imperituro e con la memoria del poeta i suoi palpitanti versi, il suo amore per questa terra, per gli uomini che la calpestano e che rimangono nonostante tutto, per quelli che la lasciano con il desiderio di ritornavi già quando partono.
(…/ Se non ti addormenti figlio posso raccontarti la storia di un poeta che morì a trent’anni e che a venti era già giovane Sindaco di paese con il cuore rosso e l’anima di un padre. / …). Nella semplicità che caratterizza tutta la silloge in questi pochi versi c’è tutta la vita di Rocco Scotellaro e più avanti c’è la speranza, mai sopita, di un mondo nuovo, più giusto, più equo, perché la Lucania, il Sud non resti sempre così (.../ Ascolta figlio e impara l’amore e le preghiere / non straziarmi per dimenticanza il cuore / perché vedi, Rocco è tuo fratello grande / e ogni giorno è sempre nuova l’alba).
La raccolta ha collezionato diversi premi, ultimo, recentissimo, il primo premio Poesia minimalista Polverini 2022 e credo che siano tutti più che meritati. Da parte mia non posso che caldeggiarne la lettura.
Renzo Montagnoli
Maria Pina Ciancio, Storie minime
e una poesia per Rocco Scotellaro
Postfazione di Massimo Sannelli
Fara Editore, 2009, pp. 48, € 10,00
(1° posto al “Premio Polverini” 2022)