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Gianfranco Cercone. “Brado” di Kim Rossi Stuart
02 Novembre 2022
 

Ci sono film che sono ispirati soprattutto dalla realtà; e ci sono film che sono ispirati soprattutto da altri film. A questa seconda categoria appartengono per esempio film di autori molto noti come Sergio Leone che, come è noto, si ispirava soprattutto ai western americani, o Quentin Tarantino, un cinefilo “onnivoro” che si ispira a film di generi e filoni disparati. Non ricorda, in effetti, il cinema di questi due autori, l’ultimo film diretto e interpretato da Kim Rossi Stuart, dal titolo Brado, tratto da un suo racconto. Eppure anche nel suo caso la derivazione dal cinema, e forse anche dal romanzo, americano è suggerita già dal fatto che il protagonista della storia, per il suo mestiere, come tipo caratteriale, è estraneo all’immaginario italiano. Si tratta di un allevatore di cavalli, che ha la passione per i rodei, e che vive in un ranch nella campagna laziale.

È un uomo cupo, scontroso, solitario, alla ricerca di un colpo di fortuna (un cavallo che possa diventare un campione) che lo salvi dalla rovina economica. Se fosse un personaggio di un film di Clint Eastwood (e il nome di Eastwood è, sia pure ironicamente, citato nei dialoghi, perché è evidentemente la Musa ispiratrice del film), il racconto valorizzerebbe gli aspetti positivi della sua figura. Ma il punto di vista da cui è descritto è invece nostrano, poco disposto a mitizzarlo, e così ci appare come un miserabile, oltretutto ottuso e crudele. Forse il suo unico connotato che può in parte riabilitarlo, è il grande amore che ha per suo figlio, anche se egli è così inibito che è incapace di dimostrarglielo.

Se la sua figura è un po’ tutta d’un pezzo, tanto da risultare più un tipo che un personaggio realistico e complesso, al figlio invece il racconto attribuisce una personalità più varia e contraddittoria. Detesta il padre, ma allo stesso tempo ne ha pietà; lo contesta, ma anche a volte gli ubbidisce; rifugge le sue orme (si è trasferito in città dove lavora come operaio edile), ma subisce il richiamo della campagna, tanto che ci si trasferisce per qualche tempo allo scopo di domare un cavallo del padre particolarmente riottoso. Ma non per questo si conforma all’ascetismo quasi monacale del padre, e vive amori appassionati e a volte drammatici con due donne.

È insomma un carattere impetuoso, pieno di contrasti che risultano autentici. C’è forse un momento che li riassume e che è anche una notevole prova di recitazione (il ragazzo è interpretato da Saul Nanni): quando il padre è a letto in ospedale, gravemente infortunato, il figlio lo guarda dall’alto in basso, e nella sua espressione, insieme alla commozione, si può leggere un senso di rivalsa per quel tiranno ora reso inerme dalla disgrazia, totalmente dipendente da lui.

I dialoghi del film possono risultare a volte un po’ artificiosi, letterari; e sono una spia del manierismo che informa tutto il racconto.

Ma la figura del figlio - e insieme di una ragazza di cui lui si innamora e che gestisce un maneggio (interpretata da Viola Sofia Betti) - danno invece, in contrasto, un senso di verità e di freschezza.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 29 ottobre 2022
»»
QUI la scheda audio)


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