La prima cosa che salta agli occhi è il titolo: Questo ondulare della terra. Il titolo è una sintesi, una anticipazione. Leggendo il poemetto, infatti, ci si rende conto che il senso ondulatorio la fa da padrone, sia nei contenuti che nella forma. Questo movimento ondulatorio, questa oscillazione, suggeriscono il miraggio, quello che snatura i contorni, che confonde le immagini, la vibrazione che si percepisce in un paesaggio assolato -che è appunto quello descritto- ma anche metaforicamente una allusione al senso della memoria, un senso vivo e suscitatore di una dimensione senza tempo, incorruttibile. E come non vedere, qui, un richiamo a Leopardi o Ungaretti?
Questo libro, come i precedenti della Cecchetti, ci sorprende piacevolmente perché assistiamo alla ricerca di uno stile nuovo e rispondente alle esigenze del momento, comunque sempre felicemente personale; in secondo luogo perché tematiche e situazioni si svelano al lettore come novità.
È un librino -così ama chiamare Marisa Cecchetti le sue pubblicazioni forse per modestia, forse per l’affetto che si dedica alle proprie creature-, ma in questa brevitas si può leggere un richiamo, magari inconscio, alla poetica dei Neoteroi, ai loro componimenti coincisi e pregnanti, raffinati e preziosi. Questo “librino” stupisce per come è nato: infatti, come l’autrice stessa ha dichiarato con quel sorrisino tra il candido, lo stupito e il sagace, e naturalmente stringendosi nelle spalle, il Poemetto - composto da 14 stanze in versi liberi- ha iniziato a sgorgare da sé, di prepotenza e quasi nella forma definitiva, una sera, a conclusione di un’estate un po’ speciale.
È un’estate trascorsa in un ritrovato rapporto col fratello e con la Natura, una condivisione intensa di luoghi e ricordi che ha lavorato in lei, creando appunto l’occasione poetica.
In Questo ondulare della terra presente e passato sfuggono ai criteri logici, perdono la configurazione di binari paralleli destinati a non incontrarsi mai, per intersecarsi, invece, per avvilupparsi, a creare atmosfere dilatate in cui le vicende personali e le emozioni e i ricordi accantonati si snodano in un intreccio quasi onirico, direi quasi lisergico, allucinogeno - ovviamente in senso figurato.
Così il “bimbo di porcellana” di tanti anni fa si affianca via via nella narrazione al fratello ormai adulto e lo permea, creando quelli effetti illusori.
E parimenti gli spazi, il qui e l’altrove, si connettono, in un contrappunto apparentemente illogico, ma è una fusione che solo la poesia può creare, ove, alla stupita scoperta del germinare del grano o a fronte dei grappoli succosi della vigna- che sono qui- ecco irrompere e legarsi gli echi della tragedia afghana o dei roghi devastanti che sono sì altrove, ma graffiano e lacerano la sensibilità come fossero qui.
Tutto il poemetto sembra davvero percorso da un moto ondulatorio, sinuoso: qui, là, prima, ancora prima, adesso. Un gioco narrativo talvolta anche piuttosto criptico che coinvolge il lettore trasportandolo in una dimensione rarefatta, abbreviata, sublimata, che è appunto la dimensione della Poesia: un territorio, uno spazio, ove il presente e il passato, il qui e l’altrove, bellezza e violenza, possono convivere in armonia, ove la fatica del vivere e il rimbombo di una società crudele -insomma il caos della vita- sembrano trovare collocazione e riposo. Non a caso leggiamo: “…e la parola scritta/ è una cura per l’anima/ quando la parola nell’aria/ diventa vuota e vana”.
Siamo di fronte ad una narrazione poetica improntata alla misura ma che non manca di immagini forti, esplosioni di colori e profumi, concreti richiami, a volte affettuosi, a volte stupiti, alle creature della terra, alla fatica che pretende la terra, ma anche e non ultima a una sotterranea e palpitante tensione civile.
Va sottolineata l’efficacia espressiva, potrei dire la reificazione, il passaggio dall’astratto al concreto di questo zigzagare dei contenuti, che viene veicolato – nel poemetto di 14 strofe senza alcun segno di interpunzione- da un ritmo poetico altrettanto originale, in perfetta coerenza all’ispirazione “di getto” cui l’Autrice faceva riferimento: una sorta di prosa poetica elegante e icastica che può svelarsi al lettore sensibile come un territorio mobile, oscillante tra fedele rappresentazione della realtà e allusione, insomma un efficace richiamo criptico all’essenza delle cose.
Emilia Giorgetti
Marisa Cecchetti, Questo ondulare della terra
Giovane Holden, 2022, pp. 48, € 9,00