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Gianfranco Cercone. “L’immensità” di Emanuele Crialese
26 Settembre 2022
 

Si sa che caratteristica di un’opera d’arte è deludere le attese: nel senso che l’originalità della poesia non si adegua alle nostre previsioni, basate su tante altre opere già viste o già lette. Nel caso di un tema come la transessualità, o l’impossibilità di una persona ad adattarsi alla propria identità di genere anagrafica, il trattamento che potremmo prevedere in un film, può oscillare dalla commedia grottesca a un serio di film di denuncia.

Il film che Emanuele Crialese ha dedicato a questo argomento, può sconcertare e magari deludere proprio perché non rientra in queste categorie, pur comprendendo elementi di commedia e spunti di denuncia.

E il problema intimo del protagonista del racconto - una bambina che sente di essere un bambino - è presentato certo come un problema cruciale della sua esistenza, e tuttavia non monopolizza il racconto, che è in sostanza una cronaca familiare, nella quale rientrano anche il ritratto della madre, affetta da disturbi nervosi, i continui litigi che la contrappongono al marito, i giochi di gruppo del bambino con i fratelli e con altri bambini, e poi i programmi televisivi che la sera in famiglia si guardano insieme (la cronaca è ambientata a Roma negli anni Settanta), tra i quali svettano i protagonisti dei varietà, come Raffaella Carrà e Adriano Celentano.

Non trattandosi di un racconto tradizionale, dallo sviluppo consequenziale, ma appunto di una cronaca, il film si compone di brevi episodi, di frammenti di vita quotidiana. Ma a collegarli fra loro provvedono alcuni motivi ricorrenti: in primo luogo la stessa figura del protagonista, anagraficamente una bambina appunto, ma che, con i suoi capelli corti, il suo atteggiamento virile - di sfida, si direbbe, contro il mondo -, il suo sguardo ombroso, manifesta allo stesso tempo un’anima che non si accorda con il corpo e il malessere che ne consegue.

E poi c’è il suo rapporto esclusivo con la madre, basato sulla fascinazione del bambino, sulla sua possessività che sfocia anche in accessi di gelosia, e su un’intesa profonda: la madre, per ignoranza, non focalizza il problema clinico del figlio, ma a suo modo lo comprende e, a differenza del marito, non lo condanna.

E infine c’è la ricorrente evasione del bambino nell’immaginario: in questo caso, soprattutto, come anticipavo, un immaginario televisivo, ma comunque una dimensione in cui proiettarsi per sentirsi più a proprio agio che nella realtà.

Come può accadere specialmente nei film dalla struttura frammentaria, non tutti i momenti sono ugualmente espressivi e riusciti. Per esempio, la figura del padre - forse perché vista sempre dall’esterno, come un rivale o un avversario, con cui ci si rifiuta di immedesimarsi - può apparire un po’ rigida e semplificata.

Però, nel complesso, si tratta di un memoriale tenero e delicato, che alla fine risulta toccante.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 settembre 2022
»»
QUI la scheda audio)


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