Alle prossime elezioni, a mio avviso, l’Italia democratica, repubblicana, parlamentare ed antifascista, quale risultò dalla vittoriosa lotta di Liberazione e dalle decisioni prese dall’Assemblea Costituente nel 1946 e finora rimaste sostanzialmente immutate, corre seri pericoli. Anche l’Europa, seppur in misura minore, incorre in analoghi pericoli. Tali pericoli sono rappresentati dalla possibile affermazione della destra italiana. Non più centro-destra, come è stata a tutt’oggi, ma destra-centro. Guidata da un movimento, Fratelli d’Italia, la cui leader lancia avvisi quantomeno ambigui sulle sue finalità. Da un lato si affretta a sostenere la fedeltà all’atlantismo e la contrarietà al Governo di Putin (cosa credibile: anche Almirante, segretario del MSI, a suo tempo fece altrettanto, ben sapendo che l’alternativa, allora, era rappresentata dall’URSS guidata da Stalin). Ma poi si lascia andare, come nel comizio tenuto in Spagna in appoggio a Vox, formazione filo-franchista, ad affermazioni che, sia per il tono come per il contenuto, fanno riecheggiare vecchi simboli e soprattutto la chiusura verso i diritti civili conquistati in Italia e in Europa. Insomma, l’equivoco sul fascismo non è integralmente sciolto.
Io non credo che la Meloni voglia riproporre un modello come quello fascista, ma non può distaccarsene completamente perché perderebbe i nostalgici di casa nostra che trovano largo spazio nel suo partito. L’ambiguità che la riguarda è stata però rotta in diverse occasioni, che voglio ricordare. La prima concerne la proposta dell’elezione diretta del Capo dello Stato, senza tuttavia definirne i poteri. Non è certo un caso che il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky ne abbia subito messo in rilievo la pericolosità scrivendo che “il presidenzialismo proposto da Giorgia Meloni potrebbe tradursi in un regime autoritario sul genere di quello di Orban, dove il Presidente sella Repubblica perde il ruolo di garante della Costituzione perché non è più una figura super partes” (La Repubblica, 07/08/2022). In altre parole, il Parlamento potrebbe rimanerne schiacciato. La seconda riguarda quando ha affermato, prevedendo il successo del suo partito, parola più parola meno, che “la pacchia, per l’Europa, è finita”, lasciando intravedere una politica nazionalista in quella sede e dimenticando i consistenti aiuti finanziari che riceviamo dalla UE. La terza quando, assieme alla Lega, FdI ha significativamente votato contro un rapporto avverso all’Ungheria di Orban sostenuto da oltre quattrocento europarlamentari. Cosa che ha fatto scrivere a Francesco Bei (Repubblica del 16/09/2022) : “Il cigno nero si è materializzato ieri nel voto contrario di Lega e FdI al rapporto del Parlamento Europeo che indica l’Ungheria come una minaccia sistemica ai valori fondanti dell’UE. Significa che la maggioranza degli eurodeputati, compresi quelli del Partito popolare, hanno smesso di fingere che quella magiara sia una democrazia e per questo la definiscono, con un efficace ossimoro, una “autocrazia elettorale”. Infatti le elezioni ci sono, ma fortemente condizionate dalla propaganda di Stato, dalla censura della stampa, dal controllo di fatto del potere giudiziario, da una sistematica campagna contro le minoranze di ogni genere.
Sergio Caivano