Pochi sanno, oggi, chi era Gaetano Arfé. Pochissimi che ha fatto il partigiano in Valtellina. Ne ripercorro la storia.
Napoletano di nascita, sviluppa sin da giovane un profondo sentimento antifascista, favorito dalla frequentazione di personaggi tra loro diversi ma concordi nell’avversione al regime, da Benedetto Croce a Giorgio Napolitano. S’impegna in un’opera di proselitismo contro il regime. Segnalato alle autorità di polizia, viene controllato. Per evitargli possibili sciagure, il padre Raffaele lo invia lontano, presso uno zio impiegato a Sondrio e ivi residente nella casa INCIS di via Stelvio. Frequento anch’io quella casa. Ho modo di conoscerlo. Oggi posso aggiungere altro. Perché Gaetano, anche a Sondrio, entra in contatto con la rete antifascista. Di notte, con Carlo Chiaravallotti scrive sui muri: “Abbasso i fascisti!”. Poi recapita alle formazioni partigiane messaggi del CLN. Aiuta perseguitati politici ed ebrei a rifugiarsi in Svizzera. In seguito ad una delazione, subisce il carcere di Via Caimi, ove incontra Giulio Chiarelli, noto antifascista, che sta scontando una delle tante pene a lui inflitte. Arfé viene rilasciato, ma sempre controllato da agenti segreti e spie fasciste.
Decide di fare la scelta definitiva, ed entra nella “Brigata Mortirolo” operante in Val Grosina, fino alla Liberazione. Poi torna a Napoli, si laurea, precisa il pensiero politico, segnato dal socialismo di Carlo e Nello Rosselli. Di Arfé non si sa se ricordare lo storico insigne, il politico appassionato, il professore impegnato o il giornalista scrupoloso. Perché Arfé racchiude in una sola persona tutto questo. Convinto assertore degli ideali e dei valori della libertà e del socialismo, dedica la sua vita a portarli avanti, con assoluto disinteresse personale. È considerato uno dei massimi storici del socialismo italiano di Turati, Matteotti, Rosselli, infine Pietro Nenni. Socialismo influenzato da personaggi di diversa estrazione, come Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Enriques Agnoletti, persino Don Milani. Scrive la Storia dell’Avanti nella quale ricostruisce le vicende del massimalismo e del riformismo, la Storia del socialismo italiano 1892-1926, e poi la Storia delle idee politiche economiche e sociali, per finire con La questione socialista, ove spiega i motivi del suo abbandono del Partito negli anni di Craxi.
Dirige il quotidiano L’Avanti per circa un decennio, è a lungo condirettore di Mondo operaio. Diventa professore di Storia contemporanea e di Storia dei partiti e dei movimenti politici in diverse Università. Rappresenta il PSI come deputato e poi come senatore. Nel 1949 con Ferruccio Parri, Aldo Aniasi, Antonio Greppi, Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Leo Valiani, entra nella FIAP (Federazione italiana associazioni partigiane) coi patrioti di Giustizia e Libertà.
Noi valtellinesi lo ricordiamo per la sua permanenza a Sondrio e, soprattutto, per la partecipazione alla guerra di Liberazione con la “Brigata Mortirolo”. Anche Arfé non ha dimenticato la Valtellina. Su Immagini della Resistenza (pp. 23, 24, 25) ricorda come la permanenza in provincia gli abbia lasciato tracce indelebili. Alcune persone gli aprono la mente. Innanzitutto Piero Foianini: “medico bravissimo, uomo di commovente umanità, patriarca dell’antifascismo valtellinese. Fu lui a mettermi in contatto con altri compagni del partito d’azione: Mario Buzzi, Teresio Gola, Ercole Isella, il socialista Ugo Spinelli, e giovani impegnati nell’accompagnare in Svizzera prigionieri di guerra, perseguitati politici, ebrei”. È sempre Foianini a fargli presente la necessità della lotta armata, da condurre senza odio, per la dignità e per la libertà dell’Italia. A seguito di una delazione, finisce in carcere. “Nelle gelide celle di Via Caimi conobbi il mio primo comunista, Giulio Chiarelli. Nessun dubbio incrinava la sua fede nel comunismo, ma assieme alla fede egli aveva anche le altre virtù dei cristiani delle catacombe, la speranza e la carità… Mi raccontò, senza enfasi, del fronte popolare francese e della guerra di Spagna nella quale era rimasto ferito”. Ed aggiunge: “A Grosotto conobbi un giovanissimo partigiano, Maurizio Scarì “Paride”, il più giovane della formazione, che brillò per coraggio, che fu ferito alla vigilia della Liberazione, decorato dagli Alleati e rimasto nei decenni tra i miei amici più cari. Da lui risalii a suo padre Giovanni, che era stato operaio a Torino… Da lui sentii per la prima volta il nome di Gramsci, da lui appresi cosa era stata l’occupazione delle fabbriche nel 1920… e la carica criminale dello squadrismo torinese”. Così prosegue: “In Val Grosina scoprii l’Europa. Questa volta il maestro fu un disertore tedesco, un operaio di Amburgo, approdato alla nostra formazione con una fotografia in mano, quella della sua famiglia distrutta da un bombardamento. Era straziato, tenuto in vita dalla volontà di contribuire a trovare il modo perché mai più bande di pazzi criminali potessero mandare i popoli a scannarsi tra loro. E il rimedio lo aveva trovato: abbattere le frontiere, sciogliere gli eserciti, fare di tutti i popoli d’Europa un popolo solo”.
“In seguito ritornammo sul tema con Plinio Corti, commissario della Divisione, il quale ci informò che un gruppo di compagni aveva lanciato, già nel ’41, un manifesto “per l’Europa libera e unita” e aveva fondato un movimento per la federazione europea. Era il gruppo, ho saputo dopo, capeggiato da Altiero Spinelli”. Così continua: “Ho vissuto allora… il significato vero di parole offuscate dalla retorica o storpiate dalla demagogia: pace, patria, libertà, dignità della persona umana, solidarietà nei popoli e tra i popoli”. E conclude: “Se oggi, varcata la soglia della vecchiaia, posso guardare indietro, avendo errori da riconoscere ma non peccati di cui pentirmi lo debbo a loro. È questo il mio debito di gratitudine verso la Valtellina. È per questo che da allora continuo ad amarla come la mia patria”.
Da sempre passa le ferie a Grosotto, ospite della famiglia Scarì, con la quale i ricordi comuni, le avventure, i pericoli corsi in quel periodo ad un tempo tragico ma anche esaltante, che segna per sempre la vita, si sprecano, obbligandoli a far le ore piccole. Quando scompare, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invia un toccante messaggio contenente il ricordo di una vecchia amicizia, l’omaggio al combattente per la Libertà, al giornalista, allo scrittore, al politico impegnato con assoluto disinteresse personale.
Sergio Caivano