Alla stazione Termini, dopo essere scesi dal treno ed essersi tolti la mascherina, si fa un respiro profondo in cerca dell’aria di un’imponente e brulicante capitale italiana. All’improvviso vi si avverte l’essenza multiculturale di cui tutta la città di Roma è profondamente tessuta. Ogni cellula del territorio ha l’impronta di numerosi flussi culturali che lo segnano il territorio stesso attribuendogli un senso. A Roma le culture del mondo, disseminate nell’aria, si concretizzano nello spazio mediante lunghe file di negozi e ristoranti etnici, infinite folle di turisti, avidi di percezioni prodotte dalla loro compulsiva esposizione alla grandezza dei leggendari monumenti. «Cercare l’essenza della percezione significa dichiarare che la percezione è non presunta vera, ma definita per noi come accesso alla verità» (Merleau-Ponty, 1965, p. 26), perciò la percezione dei visitatori è solo una chiave per accedere alla verità depositata nei secoli ed espressa nei simboli di questa magnifica capitale. Il battesimo turistico dell’essere umano si fa proprio in questa maestosa città, dopo chilometri di camminate e migliaia di fotografie scattate. Tendenzialmente il turismo a Roma è l’assetto multiculturale del centro, il commercio invece è quello della periferia. Questi due registri si sostituiscono vicendevolmente e allora sarà il centro a indossare la veste “commerciale” della periferia. Già negli anni ’70 con Barthes «ci si era accorti che le città erano diventate leggibili» (Westphal, 2009, p. 219) e per cui abbandonandoci a questa lettura, si tenta di leggere Roma attraverso una complessa mobilità che dà vita alla multi- e intercultura che innervano il territorio. Gli «spostamenti turistici [il turismo è uno dei tratti caratteristici della mobilità] non sono indolori per il mondo: […] hanno un impatto ambientale, sociale, culturale, economico che non può [in nessun modo] essere trascurato» (Del Bò, 2021, p. 9); in relazione a ciò quindi il “diritto alla città” e anche quello “alla mobilità” (Rabbiosi, Wanner, 2019) dovrebbero essere esercitati ma senza fuoriuscire dalla cornice dell’etica del turismo (Del Bò, 2021). A maggior ragione, il discorso sull’etica diventa cruciale soprattutto quando si parla di ondate turistiche dalle cospicue dimensioni. Considerando che, nel 2019, la capitale italiana ha registrato, nel complesso degli esercizi ricettivi, 19.454.3541 arrivi e 46.539.0972 presenze di turisti e che la quantità della popolazione residente al 31 dicembre sia stata pari a 2.808.293,3 occorre riflettere sul fatto che nel 2019 la presenza turistica a Roma è stata 16,57 volte quella dei residenti.
La multiculturalità di Roma si rispecchia persino nelle valigie dei viaggiatori (che a loro volta percorrono, numerose, questa città), nell’abbigliamento dei numerosi passanti che interroga le loro geografie, alcune delle quali ci riconducono alle loro diverse appartenenze religiose. Le epoche diverse, le quattro stagioni confluiscono nell’abbigliamento multiculturale di donne e uomini che si muovono, liberi, lungo un reticolo di lastricate vie romane dimostrando lo spessore di vita su cui la maestosa città antica punta da secoli. Il turista viene a Roma per toccare con mano l’eternità e per provare il sentimento di appartenenza alla storia, al popolo e alla cultura italiana, seppure per la durata di un tempo turistico. Attraverso il suddetto sentimento risulta possibile collocarsi sulla pista dell’intuizione del genius loci romano, reso tangibile, nelle diverse epoche storiche, da numerosi architetti intenti a «creare luoghi significativi per aiutare» gli uomini «ad abitare» (Norberg-Schulz, 1979, p. 5). E siccome «l’uomo abita quando riesce ad orientarsi in un ambiente e ad identificarsi con esso» (ibid.), allora il luogo diventa «una parte integrale» (ivi, p. 6) della sua esistenza. Ovviamente, il turista cerca di imprimere nella propria identità l’identità del luogo visitato, ma non sempre gli riesce facile la realizzazione di questa operazione.
L’essere multiculturale di Roma parla molte lingue, trasformandole e accostandole l’una all’altra per dar loro una possibilità di annodarsi in una nuova e curiosa creazione linguistica. Il sopracitato essere multiculturale, coniato all’infrastrutturale, diventa l’essere eterogeneo, in quanto fiumi di veicoli di diversa natura scorrono, impetuosi, dando vita a variegati paesaggi cittadini. I monopattini adottano le caratteristiche di motorini e di pedoni, le moto si mimetizzano accanto al bianco dei taxi e le biciclette adombrano di colori i marciapiedi. Roma è una città di contrasti: nonostante sia stata fondata nel segno della grandezza, ricchezza ed eccellenza, essa custodisce ancora alcuni spazi, territorializzati da vagabondi, volti a divenire l’intercultura applicata grazie al continuo sorgere delle relazioni umane sul terreno multiculturale. L’essere multiculturale romano spinge ciascun visitatore (e/o cittadino) a intraprendere un sentiero d’intercultura che conduce alla sorgente dissetante della conoscenza, del dialogo e dell’umanità, dove tale essere viene affiancato a quello interculturale fino al suo completo assorbimento. Le percentuali di multiculturale all’interno di interculturale variano in base ai sentieri su cui si stabiliscono le relazioni umane, e anche in base a quanto le differenze nella condivisione dei valori umani vengano riconosciute. Come fenomeni, la multicultura e l’intercultura si trovano in stretto legame col territorio e i soggetti, produttori di tali fenomeni, compartecipano, su più piani, alla costruzione di essi (Carlini, 2011). Quindi, «se i soggetti producono i territori, non li producono solo dal punto di vista materiale ma anche, e in certi momenti soprattutto, dal punto di vista dell’immaginario» (ivi, p. 65). Ciascuno di loro (che sia cittadino, turista o migrante) ha una propria immagine di Roma, e la produce in maniera singolare e irripetibile. Queste categorie di soggetti che si spostano incessantemente generano la mobilità, e questa a sua volta modella il territorio umano (Frèmont, 2007, p. 108): viviamo nell’era dell’«homo mobilis» (ivi, p. 101, corsivo dell’autore) causata dalla «rivoluzione dei trasporti» (ibid.) e non solo esclusivamente da essa. Il “tessuto mobile multi- e interculturale” ricopre la superficie della Terra dove il bisogno di arrestarsi, da parte degli esseri umani, rimane comunque estremamente rilevante, ai fini della costruzione di una vita contrassegnata dall’autenticità. A volte per fermarsi e ritrovare se stessi in mezzo alla «carovana dei turisti che si muove per il mondo» (Del Bò, 2021, p. 31), passando per la città di Roma, diventa necessario oltrepassare l’immaginario e, focalizzando lo sguardo sui dettagli in grado di rinnovare la rappresentazione che si ha dei monumenti, occorre osservarli nell’immobilità. Così, oltrepassando l’immagine romantica della Fontana di Trevi creata da Federico Fellini nel film La Dolce vita (1960) e la visione della Nascita di Venere di Botticelli (1485), può capitare di posare lo sguardo sul gabbiano che, incurante di turisti che continuano a fotografare se stessi sullo sfondo del bellissimo monumento romano (dal 1980 parte del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO), si fa il bagno nel candore delle acque spumose, riportandoci al pensiero circa la rilevanza del cambio della prospettiva immaginaria mediante il sostare in silenzio mentre si è attraversati dal flusso.
La città di Roma — il «laboratorio del cosmopolitismo» (Gaias, 2021, p. 67) — è una delle metafore del mondo, una sua memoria che non potrà mai essere racchiusa in un souvenir o in una fotografia, perché il suo essere multi- e interculturale rimarrebbe inafferrato e restituirebbe al mondo un’immagine della città-sagoma. Infatti, il «più grande insegnamento della riduzione è l’impossibilità di una riduzione completa» (Merleau-Ponty, 1965, p. 23). Allora non occorre avere alcuna pretesa nella cattura dell’essere multi- e interculturale romano, per mezzo della sua materializzazione, in quanto solo recandosi in questa bellissima città — a cui quasi tutti i cittadini del modo sanno “accedere” (cfr. Faccioli, 2018, p. 11) — e restando in attesa che il suo essere si rilevi, è possibile celebrare in silenzio la gioia trionfante dovuta alla concordia della propria essenza con quella dell’essere multi- e interculturale di Roma che si aggira sul suo genius loci.
Kristina Mamayusupova
1 Comune di Roma, Il turismo a Roma 2019 (pdf)
2 ibid.
3 tuttitalia.it, Statistiche Demografiche: Popolazione Roma 2001-2020
Bibliografia:
Carlini, G. “Il rapporto fra immigrati e spazi cittadini: rapporti interculturali nei quartieri” in Baggiani, B.; Longoni, L.; Solano, G. (a cura di), Noi e l’altro? Materiali per l’analisi e la comprensione dei fenomeni migratori contemporanei, Fondazione Migrantes, Roma, 2011, pp. 61-69.
Del Bò, C. Etica del turismo. Responsabilità, sostenibilità, equità, Carocci, Roma, 2021 (ed. or. 2017).
Faccioli, M. “Problematiche territoriali del turismo a Roma. Due casi di studio” in Faccioli, M. Processi territoriali, urbanizzazioni e nuovi turismi, Universitaria, Roma, 2018, pp. 11-32.
Frémont, A. Vi piace la geografia?, Carocci, Roma, 2007 (trad. it. di D. Gavinelli, Aimez-vous la geographie?, Éditions Flammarion, Parigi, 2005).
Gaias, G. “Percorsi di ricerca nella città ‘cosmopolita’: strumenti e metodi di indagine” in Geography Notebooks, n. 4, 2021, 2, pp. 65-77.
Merleau-Ponty, M. “Premessa” in Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, Milano, 1965, pp. 15-32.
Norberg-Schulz, C. Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Electa, Milano, 1979 (trad. it. di A.M. Norberg-Schulz).
Rabbiosi, C., Wanner, P. “Dal “diritto alla città” al “diritto alla mobilità”. Spunti per una critica socio-spaziale della definizione di “turista”” in Scritture migranti, n. 13, 2019, pp. 129-152.
Westphal, B. Geocritica. Reale finzione spazio, Armando, Roma, 2009 (trad. it. di L. Flabbi; M. Guglielmi, La Géocritique. Réel, fiction, espace, Les Éditions De Minuit, Paris, 2007).