Riceviamo l’invito a partecipare alla presentazione del libro Chiaro di luna, una vita, che raccoglie le memorie di una staffetta partigiana. Ci rechiamo a Rogolo, Paolo Sironi ed il sottoscritto, per assistere all’evento. Adriana Peregalli ci accoglie con un largo sorriso. Si vede subito che è felice della presenza di rappresentanti dell’Anpi. Un presentatore ci rimprovera per non aver dato alla lotta partigiana della bassa valle il dovuto rilievo, in nessun testo. È vero, la trattazione di quella lotta partigiana è scarna, ma è dovuta alla scarsità di fonti al riguardo. Forse non ha visto l’ultima edizione di Immagini della Resistenza, che in parte rimedia quanto denunciato.
Poi Adriana ci fa dono, con dedica del testo scritto da Giuseppe Corti e Gina Dell’Oca che, nella presentazione, precisano: “…abbiamo sentito il bisogno di permettere ad altri di condividere la nostra esperienza, fermando sulla carta l’autobiografia di Adriana ricca di vicende, a volte serie, a volte umoristiche: il senso dello humour è proprio della sua personalità che, anche in situazioni drammatiche, riesce sempre a cogliere gli aspetti positivi e lucidi. Adriana è una grande affabulatrice: quando racconta ti avvince e ti fa sognare. Abituata, come insegnante, a coinvolgere i suoi alunni con una esposizione chiara ed accattivante, ci ha introdotto nel suo mondo personale e reale con un linguaggio colorito, reso vivissimo da particolari sguardi ed atteggiamenti mimici che, non sempre, siamo riusciti a rendere per iscritto”. La presentazione conferma la duttilità e le capacità dialettiche. Adriana risponde con affabilità a tutta una serie di domande sulla sua vita, in particolare sulla sua esperienza di staffetta partigiana. “Noi donne” dice “siamo entrate nelle formazioni partigiane per aiutare i nostri fratelli, mariti, fidanzati, poi siamo rimaste coinvolte con vari incarichi. Si agiva da incoscienti, senza la percezione reale dei pericoli che correvamo”.
Ma veniamo ai fatti. Dopo l’8 settembre il fratello Aldo, sergente dell’esercito, ritorna dall’Albania, dove conosce un certo Hans del comando tedesco, in realtà facente parte del controspionaggio. Aldo e Hans organizzano il trafugamento di armi e munizioni, che depositano in un ripostiglio di casa Peregalli. Matura la decisione di combattere i tedeschi. In montagna ci sono già alcuni sbandati. Quando arriva Siro Losi, noto partigiano della 55ª Brigata “Rosselli”, altri giovani si uniscono agli sbandati. Aldo diventa il comandante del distaccamento “Rosalino Pio” operante in Val Gerola. Sorgono altri distaccamenti. Adriana ed altre ragazze, attraverso sentieri impervi e sconosciuti ai più, portano i viveri e gli indumenti. Inizia così la lotta partigiana dei due fratelli. Adriana va in montagna coi partigiani del fratello e vive con loro, dormendo in una baita fredda per i tanti spifferi. Dopo diverse azioni di guerriglia contro i nazifascisti, nell’inverno del ’44 i patrioti sono costretti a rifugiarsi in Svizzera aprendosi una via di fuga in mezzo alla neve. Adriana torna a casa, ma continua con fervore la propria attività di staffetta, correndo sempre alti rischi. Le viene detto di trovarsi alla stazione di Sondrio, dove è attesa da amici per ottenere utili informazioni per i partigiani. È un tranello. A Sondrio, ad attendere lei e Natalina, ci sono dei fascisti. Le trascinano per la strada, pestandole ed insultandole, poi le rinchiudono in un locale buio. Adriana si butta giù dalla finestra del locale in cui sono chiuse, fugge, per fortuna conosce un compaesano che riesce a rilasciarle un lasciapassare tedesco, con la madre viaggia e raggiunge Albino, un paesino della bergamasca dove viene accolta da una sorella. Natalina invece, che non ha il coraggio di gettarsi dalla finestra, viene inviata a S. Vittore. Entrambe figurano nell’elenco dei deportati. Adriana rimane ad Albino fino alla Liberazione. In primavera i partigiani tornano dalla Svizzera e, dopo poco, costringono alla resa i fascisti. Adriana torna a Rogolo. “Noi donne partigiane” dice Adriana “ci vergognavamo, perché la gente criticava la nostra presenza in montagna assieme ad uomini”. Con vivo senso umoristico, Adriana ricorda il dialogo col fratello. “Ricordati che tu non hai fatto niente”, le dice. “Come non ho fatto niente?”. “Sì, ma devi dimenticare, devi dimenticare”. Intanto la felicità di tutti, compresa la popolazione di Rogolo, è enorme, supera ogni diceria. “Appena finita la guerra ci sentivamo contenti ed euforici e festeggiammo l’avvenimento in un grande locale di un’antica osteria. Osvaldo, mio fratello, con la fisarmonica ed altri suonatori con vari strumenti ha formato un’orchestrina. Abbiamo ballato per tre giorni e tre notti ininterrottamente. Si beveva si mangiava: una grande festa per tutti”.
Sergio Caivano