La maggior parte di coloro che si dichiarano pacifisti sostiene in questi giorni che l’unica via per evitare nuovi spargimenti di sangue e arrivare ad una pacificazione dell’Ucraina sia quella di convincere Usa e Ue dell’inutilità di inviare armi in quel Paese e quindi costringere Zelensky ad arrendersi. L’argomentazione è motivata dalla constatazione della incolmabile disparità di forze tra esercito russo e esercito ucraino, per cui la resistenza dell’Ucraina è destinata alla sconfitta. Inutile pertanto prolungare la guerra col solo risultato di aumentare morte e distruzione e di arricchire i fabbricanti e i commercianti di armi. Si tratta della moderna versione del ’porgere l’altra guancia’.
È immaginabile come neppure i più convinti pacifisti pensino che Putin, una volta ottenuta la vittoria, ritiri le truppe e permetta agli ucraini di decidere liberamente il loro futuro, perché la conseguenza della resa sarebbe l’occupazione di tutta l’Ucraina, sia con annessioni dirette che con la costituzione di un governo fantoccio filorusso. L’opinione prevalente è che se si lascia campo libero alla strategia di conquista di Putin, da un lato lo si incoraggia a perseguire altre sue aspirazioni, come riprendere i territori ex-URSS della Georgia, della Moldavia e delle tre repubbliche baltiche (con la prospettiva reale di uno scontro con la NATO, perfino nucleare) e dall’altro non si evitano comunque un bagno di sangue e dure repressioni tra le fila della massiccia e motivata resistenza popolare ucraina.
La storia e la cronaca ci insegnano che purtroppo l’umanità non ha ancora cancellato la guerra come mezzo per risolvere le controversie. I pacifisti possono rispondere a questa constatazione citando due episodi di successo del metodo della non violenza: quello dell’India di Gandhi e quello del Sud Africa di Mandela. Sono eventi storici significativi che però vanno studiati nel loro contesto storico e sociale (crisi del colonialismo, sproporzione numerica tra oppressori e oppressi) e comunque non possono essere generalizzati.
In realtà esiste un precedente storico di realizzazione di un sistema che impedisce la guerra e risolve i contrasti con il diritto e non con la violenza, e si chiama Unione europea. Pensiamoci bene: per secoli gli europei hanno fatto guerre sanguinose fra loro e le ultime sono state particolarmente distruttive, malgrado la presenza di opinioni pubbliche spesso largamente pacifiste. Poi, dopo il secondo conflitto mondiale, si è affermata l’idea che gli stati possono evitare la guerra mettendo in comune le risorse per le quali si era lottato in passato e affidando a un arbitrato la soluzione delle controversie. È la rivoluzione pacifica e silenziosa dalla quale sono nate e si sono estese le istituzioni europee, la cui caratteristica è quella di aver devoluto importanti fette di sovranità ad una entità sovranazionale democratica. L’attuale Unione europea è un processo imperfetto, ancora in corso, pieno di difetti e difficoltà, però l’Ue ha dimostrato come popoli con tradizioni storiche spesso diverse, che spesso si sono combattuti in passato, con 23 lingue e 3 alfabeti differenti, possono creare strutture statuali di convivenza pacifica dove il diritto prevale sulla violenza e una Carta dei diritti e una Corte di giustizia fanno rispettare questo principio. Certo sorgono contrasti fra i governi, ma alla fine chi si discosta, come Polonia e Ungheria, sarà costretto a piegarsi al diritto europeo.
Di fronte a questo precedente storico i pacifisti dovrebbero meditare e capire che il pacifismo è creare strutture in grado di rendere impossibile la guerra, perciò la via da percorrere è quella dell’Ue. Si può obiettare che gli europei hanno realizzato queste strutture sovranazionali in un particolare momento storico e in specifiche condizioni che non sono ripetibili altrove, tuttavia la “ripetitività” è dimostrata dall’allargamento di queste strutture col mutare del contesto internazionale. Dagli iniziali 6 Paesi si è progressivamente arrivati a 27 e altri stati ambiscono ad entrare negli organismi europei, come dimostra la domanda di adesione dell’Ucraina all’Ue. L’allargamento ha obbligato a modificare la fisionomia originaria e a renderla democratica con l’elezione del Parlamento europeo, e le istituzioni europee hanno dimostrato adattabilità a differenti scenari, come nel caso dell’uscita del Regno Unito che in altre parti del mondo avrebbe avuto un esito devastante.
Un’ulteriore dimostrazione della riproducibilità del metodo anche in altri contesti sono i tentativi di imitazione che si ripetono con alterne vicende, ma con costante progresso, in America Latina (col Mercosur) o in Africa Occidentale (con l’Ecowas). Occorre convenire che darsi da fare per la pace, al di là delle pur opportune manifestazioni, consiste prima di tutto nel percorrere la strada dell’allargamento dell’Ue ai paesi limitrofi (Balcani), inteso come estensione dello stato di diritto, promuovendo nel contempo una politica di collaborazione con i Paesi non ancora pronti ad un’adesione quali la Russia, gli stati del Medio Oriente e quelli del Magreb.
Utopia? Certamente, e comunque sempre più concreta delle invocazioni alla pace prive del supporto di un progetto politico sovranazionale come il federalismo europeo.
Giuseppe Enrico Brivio - segretario della sezione “Ezio Vedovelli” Valtellina-Valchiavenna del Movimento federalista europeo
Guido Monti - responsabile del Comitato provinciale per l’Europa di Sondrio