Ci sono passioni che non si spezzano mai, ci insegna la letteratura. Amori che continuano al di là della vita. Se poi la passione amorosa si intreccia con quella personale di chi a un credo dedica la propria esistenza, allora l’intreccio è totale, forte, forse inscindibile.
C’è una storia vera che racconta una di queste magie, per qualcuno una fiaba, anche se dal finale tragico.
Lui è Francisco “Pipìn” Ferreras, cubano, campione di immersioni subacquee. Lei, una ragazza francese, Audrey Mestre, incontrata nel ’96 grazie alla comune passione per il mare.
Pipìn ha 34 anni, Audrey 22; lui ha due matrimoni alle spalle, dei figli, l’esilio da Cuba. La bella Audrey si innamora, ricambiata, del suo maestro e dopo tre anni si sposano. Una storia, la loro, che da quel momento sarà caratterizzata dalla presenza di un terzo amore: il mare e il brivido che può dare a qualcuno quando ci si immerge dentro, fino alle profondità più sconosciute, sfidandolo e lasciandosene affascinare.
Audrey è brava, in pochi mesi raggiunge il traguardo dei 130 metri in 1 minuto e 56 secondi.
Pipìn è un cercatore di record, nel 2000 in meno di due minuti arriva a meno 162: è l’erede di personaggi come Maiorca e Mayol, i due sportivi che ispirarono a Luc Besson Le grand bleu.
Ma il mare, si sa, è traditore e anche qui, in questa storia, unisce… e poi separa.
Nell’estate 2002 è un’altra ragazza a battere il primato di Audrey, Tanya Streeter che arriva a meno 160. Audrey migliora, arriva a battere il marito, col record di meno 166. Lui la sprona a fare ancora di più, la convince che può farcela: il traguardo diventa meno 170.
In principio pare lei abbia tentennato, poi ha deciso per il sì, per la sfida, per il dono al suo maestro, forse. C’è chi non è d’accordo, amici che consigliano di non esagerare, che profetizzano non ci sarà più niente da tentare…
E arriva il giorno tanto atteso, quello dell’immersione con la slitta zavorrata da 45 chili di piombo e il bombolino che dovrebbe essere pieno. Con l’ultimo saluto di Audrey a Francisco e la discesa che invece di durare tre minuti si protrae fino a otto e mezzo. Nessuno sa spiegarsi esattamente cosa sia successo, forse non è uscita aria dal bombolino. Molti sottolineano la disorganizzazione tecnica, il fatto che siano state disattese le più elementari norme di sicurezza, in mare e in superficie. Altri parlano di fatalità.
Pipìn rivede la scena mille volte, mille volte ripensa ai tentativi fatti per rianimarla, e sente le accuse, quelle urlate e quelle mascherate di chi – secondo lui – non può capire, perché non ha avuto la fortuna di vivere un grande amore.
Quello di lui, per il mare, ne risente: forse all’inizio lo odia, niente più immersioni, il calvario di insonnia, depressione, sonniferi e tranquillanti. Ma alla fine, dalle sue stesse ceneri, quell’amore rinasce e nel giorno del 1° anniversario della morte della moglie – il 12 ottobre 2003 – Francisco Pipìn ci riprova, senza il sostegno di molti suoi ex amici e chiede gli si prometta che, se qualcosa dovesse andar storto, lo si lasci andare. En tu memoria, Audrey è la scritta sulla sua muta.
E il tuffo in apnea è per ridirle t’amo, è per tornare a legarsi a lei. Perché ripartire dai meno 170, dove ha finito Audrey, è sentirla di nuovo accanto, è respirarla.
Lei che diceva a volte è un peccato risalire.
Pipìn ce la fa: il nuovo record mondiale è centrato. Ma soprattutto il Re degli Abissi ha ritrovato la sua Regina.
Frances Piper
Un libro dello stesso Pipìn racconta questa storia: Nel Blu Profondo. Una storia di amore ed ossessione (Mondadori, 2005)