Tessa Rosenfeld
Graffio
Linea Edizioni, 2021, pp. 322, € 15,00
Un’altalena tra Roma e il Salento, un andare dall’oggi al passato, in questo romanzo di Tessa Rosenfeld dal ritmo serrato, nervoso, come la sua protagonista Nikla Poggiardo, figlia di Sofia Stucchi Floryanni, di nobile casato, “una delle ragazze da marito più ambite di Lecce”. E di Aldo Poggiardo, non di antico casato ma gentile e capace di sopportare le stranezze della moglie: “Tuo padre aveva sempre il controllo della situazione. Niente riusciva a scalfirlo, nemmeno le mie bizze”.
Un rapporto impossibile, quello con la madre, distaccata, interessata alla forma: “Aldo, smetti di insegnare alla bambina a fare la pagliaccia! Esercita più compostezza, te ne prego; che figura fate col personale?” Sofia Stucchi Floryanni è murata nel suo dolore per la perdita di un figlio maschio a pochi mesi dalla nascita, ed è incapace di mostrare affetto alla bambina. Si incontra soltanto con donne di nobile casato.
Divenuta autonoma col suo lavoro in una agenzia immobiliare, Nikla sette anni prima ha incontrato a Roma Cesare De Nistris, maturo notaio con due matrimoni alle spalle, con uno stuolo di nipoti a cui dedica tempo e attenzioni. Che ha “un’irruenza primitiva da vichingo”.
È una attrazione immediata, fortissima, un rapporto fisico eccitante che dapprima la rende euforica: “Ogni volta che facevano l’amore la costringeva a gareggiare con le sue ex in testa. Tuttavia gli passava anche questa, tale la sua ingordigia per le gesta consumate nell’armadio, oppure sotto il tavolo da pranzo al primo piano, o a buon bisogno anche nello sgabuzzino delle scope, stretto e asfittico e, appunto per questo, luogo di contorsioni ancora più ardimentose”.
Nikla deve tollerare col sorriso anche gli incontri con le sue ex - famiglie al completo - sentendosi piccola e giudicata, una che non conta nella vita di lui. Accetta la relazione fino ad un episodio intollerabile, quando si sveglia finalmente dalla illusione di coppia affiatata, ed ha la percezione di sé come oggetto di piacere sporcato, usato, umiliato.
Nikla ora combatte con il cibo, si riempie e poi si svuota sul water, raggiungere il giusto peso diventa una ossessione. Lei non sopporta i bambini, non vuole figli, senza dubbio la sua infanzia e il rapporto con donna Sofia ne hanno la responsabilità.
Fondamentalmente sola, gelidi gli incontri con la madre, in attesa della ristrutturazione di una casa avuta in eredità, vive in affitto nel palazzo di un avvocato. Una vita inquieta, senza regole.
Ci sono figure scolpite a tutto tondo intorno a lei, come la domestica dell’avvocato, Anta, attenta e ficcanaso, rozza e di maniere spicce, che la va a prelevare alla stazione: “Si materializzò in canotta, pantaloni a pinocchietto e capelli oleosi tenuti a bada da un orrorifico fermaglio a forma di Ape Maia. “Movete!” borbottò sfilandole con rudezza la valigia di mano. “Ca ho lassatu la macchina dell’Avvocatu mensu la via!” E appena ne intuisce la storia ridacchia:“Ta cacata susu eh!”
Ha un’amica, Gabri, avvocato che difende i suoi diritti contro il De Nistris, tutta presa dal desiderio di diventare una scrittrice, ed uno zio dalla cui cupidigia Nikla deve difendersi.
Rocambolesca la sua vita, spiccata la sua femminilità ed il suo desiderio di ammirazione, rovinosi gli incontri, soprattutto quando dà fiducia ad un uomo sbagliato, ancora una volta. È una donna che non sa sottrarsi alla rovina, che non riconosce il limite oltre cui c’è pericolo, che non sa badare a sé. Che spingerebbe il lettore a dirle bada a quel che fai, sta’ attenta. E a farla ragionare su quel che è giusto o sbagliato.
Nessuna esistenza deve essere sprecata, sembra dire Tessa Rosenfeld - che vive nel Salento, nata a Santa Monica da padre americano e madre italo russa- e ci pensa il destino ad andare incontro a Nikla, anche contro la sua volontà, anche contro le sue convinzioni. Ed a trasformare un errore in una possibilità di riscatto, con la possibilità anche per lei di essere felice, consapevole di sé, senza brutti ricordi, accuse, rabbia: “La felicità non era più un enigma, il graffiare e il graffio non facevano più parte di lei”.
Romanzo dove non manca una diffusa vis comica, in cui è di notevole effetto lo scivolare continuo dall’italiano al dialetto, musicale ma duro, graffiante anche quello: “Ci faci ddai mpalatu?”. Ma non è Nikla che sta lì ferma impalata.
Marisa Cecchetti