Mi sento morire dentro per la grande amarezza che sento. Leggo dell’ospedale pediatrico bombardato a Mariupol, in Ucraina e di tutto il dolore che stanno patendo i civili, in particolare i bambini. Per me non è solo la drammatica cronaca di questi giorni, ma una tragedia che si ripete da anni e che è entrata profondamente nella mia vita.
Oggi ripenso a quel 27 aprile 2016 quando un bombardamento russo sull’ospedale al Quds di Aleppo uccise ventisette persone, tra medici e pazienti. Tra loro Waseem Maaz, l’ultimo pediatra, ucciso mentre cercava di salvare vite umane (foto in all.). Gli altri medici hanno cercato di salvare i neonati estraendoli dalle incubatrici e portandoli nel bunker, tra le lacrime. Avevo visitato quell’ospedale tre anni prima, restando in contatto con medici e infermieri. Per me non era più solo cronaca, è diventata una ferita aperta che continua a bruciarmi dentro. Non ne ho mai parlato così apertamente perché cerco di dividere la parte professionale, dalla parte emotiva. Non sempre ci riesco, non ora.
Vedere quanto accade in Ucraina riapre quelle ferite mai chiuse, soprattutto perché si continua a disumanizzare il diverso. Vi prego, smettete di dire e di pensare che “tanto quelli, gli Africani e gli Arabi, si ammazzano tra di loro”, non fa bene a nessuno tanta ignoranza e disumanità.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 10 marzo 2022)