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Marisa Cecchetti. “L’alveare” di Emilia Giorgetti
25 Febbraio 2022
 

Emilia Giorgetti

L’alveare

Giovane Holden, 2022, pp. 336, € 15,00

 

Ci aveva raccontato una volta Alfredo, l’oste, mostrandoci con la manona l’arnia semivuota, che l’ape regina era volata via portandosi dietro tutto lo stuolo delle operaie, per sciamare in un nuovo alveare”. Su questa immagine Marta bambina alimenta una serie di fantasie che riempiono i vuoti delle sue giornate.

Marta è la voce narrante del nuovo romanzo di Emilia Giorgetti, L’alveare, seguito al suo primo In punta di piedi d’estate, dove è lo sguardo di Gemma a raccogliere tutto.

Il lettore ritrova una villa di campagna intorno a cui ronza uno stuolo di parenti e amici, l’alveare appunto, ritrova le grandi tavolate estive, i riti del quotidiano -anni ’50 del secolo scorso-, ma qui lo sguardo si allarga a comprendere la vita di città, completa il ciclo delle stagioni, e soprattutto rende protagonisti i bambini e gli adolescenti, senza tuttavia farne un romanzo per bambini.

Se nel primo lo sguardo di Gemma, adulta che ritrova gli amici, ha dato un ritmo pacato al susseguirsi delle giornate, complice il caldo di un’estate di inizio anni venti, ora l’energia dei piccoli imprime un passo più svelto, la loro curiosità è insaziabile, il romanzo vira al giallo.

Di Marta conosciamo subito le giornate trascorse nella casa delle zie in città -quattro sorelle nubili di cui Livia è il perno, l’ape regina, l’autorevolezza rispettata: “avevano ragione i cugini, lei guardava. A volte per ispezionare, a volte per vigilare, altre per dominare”. Ci sono ragioni profonde nel suo passato che le hanno assegnato questo ruolo nel gruppo numeroso di fratelli, maschi e femmine.

Di Marta scopriamo il segreto dolore, quello di ricevere poca attenzione da parte dei genitori coinvolti profondamente dalla malattia di un figlia piccolina, Innocenza. Se il dolore fa crescere, senza dubbio Marta ne è la dimostrazione, capace di porsi continue domande, di riflettere, ipotizzare, dedurre. Ed allo stesso tempo di mantenere la freschezza della sua età, insieme alla spensieratezza ritrovata con i cugini e gli amici, sempre dietro l’angolo.

L’inverno e la primavera trascorsi in città ci fanno già conoscere lo stuolo dei familiari che si incontrano a casa di zia Livia, i pranzi, i giochi, le feste, le letture serali che accompagnano al sonno, recuperando addirittura la magia dei lumi a petrolio: “lei accese la fiammella entro il globo di vetro diafano creando baluginii che sbocconcellavano l’oscurità intorno a noi, aprì il libro e prese a leggere”.

I letti sono pieni di piccoli che dormono stretti, un po’ a capo un po’ ai piedi.

È sempre presente il bon ton, la buona educazione nel parlare, nel chiedere, nell’agire, nel rispettare, nell’obbedire. Anche nel sopportare il tanto odiato sonnellino pomeridiano estivo, quando le gambe dei piccoli si agitano e il pensiero corre ai giochi, alla casetta sul fico, agli amici con cui progettare.

L’estate infatti raccoglie questo alveare al completo, e ai bambini si uniscono i figli dei vicini, e le giornate sono interminabili, trascorse a inventare, a realizzare, a sfidare pericoli, a bisticciare. A prendere punizioni, anche.

È Giacomo il più irrispettoso, più grandicello e già innamorato di Claudia, la figlia dei vicini, lui un misto di dolcezza e di irriverenza, che sente su di sé l’eccessiva ansia della madre a cui si ribella con ogni forma di provocazione, e fa arrabbiare il fratello più piccolo, cicciottello e tenero, che fatica a stare al passo con i più grandi.

L’estate si dilata, come è nello stile della Giorgetti, sempre affascinata dalle meraviglie della Natura, dalla luce, dai colori, dai profumi, dalle voci.

Ma questa lunga estate si tinge di giallo per l’arrivo in paese di Ester, sopravvissuta all’olocausto, che è riuscita a riprendersi la villa di famiglia e una parte delle sue terre. Purtroppo in paese c’è chi non la vuole, l’antisemitismo serpeggia ancora. Così i ragazzi scoprono questa tragedia della Storia, ed assistono, con i loro occhi ed a loro rischio, alla dimostrazione della malvagità umana: “Voi grandi ci vedete piccoli e non immaginate neanche da lontano quanti ragionamenti facciamo, quanti interrogativi ci poniamo e quanto simo turbati, insomma!”

Le frequenti crisi di Innocenza lasciano un segno sempre più profondo su Marta; una brutta malattia colpisce un’amica e diffonde paure nuove nel gruppo; intanto i fatti inquietanti e dolorosi che coinvolgono la famiglia di Claudia portano schieramenti e divisioni nel gruppo dei giovani e in quello degli adulti; allo stesso tempo evidenziano la genuinità e la generosità dei bambini, che stanno pian piano scoprendo il complesso mondo dei grandi, magari origliando i loro discorsi dietro le porte, quando è necessario! Anche le ingiustizie e le cattive azioni degli altri diventano strumento di crescita, perché dimostrano che cosa non si deve mai fare!

L’autunno che si avvicina, disseminando funghi e castagne nei boschi e ciclamini insieme alle prime foglie gialle, si carica si struggente nostalgia, non solo per la stagione dei giochi che si conclude: Marta ha la sensazione che si chiuda una stagione della sua vita, che la consapevolezza acquisita in questi mesi offuschi ormai la consueta leggerezza del pensiero. Ha scoperto, però di non essere sola nel dolore, e questa consapevolezza rende più tollerabile il suo. In effetti “il cerchio fatato fatto di cose buone” in cui i ragazzi si trovano a vivere, si incrina, non essendo immune da malattie, dispetti, paure. Quelle che appartengono alla vita vera, al di là della inconsapevolezza dell’infanzia.

La Giorgetti ha una grande capacità di delineare la psicologia dei personaggi attraverso le loro azioni: nessuno è trascurato, nemmeno la tata Assuntina, figura storica e amata della famiglia, ormai vecchia, seduta nella sua poltrona a sferruzzare.

Non manca una ironia diffusa, lieve, la capacità di farsi una risata, mai dissacrante, magari davanti alla bruttezza della Rosina o all’alito pestifero della sarta che periodicamente rinnova i vestiti di tutti: “puzzolente, ma così puzzolente che stenderebbe un cavallo”.

E sa accompagnare, con complicità ed un sorriso buono, i primi batticuori, le prime emozioni, scoprendo il rossore che infiamma improvviso le guance.

Sempre innamorata, Marta, in cui l’autrice si proietta, anche di alberi, fiori, foglie, in un continuum tra esseri viventi: “mi fissai su una foglia. Di certo quella foglia mi conosceva, come conosceva il nostro gruppetto, perché nel mistero che avvolge la vita di un albero…di certo una sorta di sensibilità doveva esserci”. In questa simbiosi con la Natura si trova acquietamento e pace.

 

Marisa Cecchetti


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