Intervenendo questa mattina al seminario “Libertà della Persona: Nascere, Curarsi, Morire Nuove Conoscenze e Privacy”, organizzato dalla Cgil a Roma, ho ribadito che, per una legge sul parto, tre le questioni essenziali: anestesia epidurale, conservazione autologa delle cellule staminali del cordone ombelicale, conciliare il lavoro con la genitorialità.
Si tratta in particolare di inserire tra i Lea (livelli essenziali di assistenza, coè delle prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale) l'anestesia epidurale.
Prima di tutto questo permetterebbe di diminuire il tasso dei parti cesarei, a cui spesso si fa ricorso quale unica alternativa al parto naturale e doloroso. L'Italia è infatti il Paese con il più alto numero di parti con taglio cesareo dell'Unione Europea (pari al 35,2%, oltre il doppio della quota massima del 15-20% raccomandata nel 1985 dall'OMS).
Ricordo anche che, nel 2001, il Comitato Nazionale di Bioetica ha sostenuto che «il diritto della partoriente di scegliere un'anestesia efficace dovrebbe essere incluso tra quelli garantiti a titolo gratuito nei livelli essenziali di assistenza». A distanza di 6 anni il documento e le sue raccomandazioni non si sono ancora tradotte in realtà. Ne consegue che, se in Gran Bretagna e Francia questa anestesia viene utilizzata dal 70% delle partorienti, dal 90% negli Usa, in Italia solo il 3,7% delle donne hanno ottenuto l'epidurale (Istat, aprile 2001).
Un'altra scelta di libertà che oggi viene negata in sala parto è la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale: o le doni oppure vengono buttate. Staminali salvavita, preziose cellule capaci di curare malattie del sangue, leucemie e speriamo in futuro anche altro, oggi ricevono questo assurdo trattamento. Nell'Italia in cui neppure il 10% dei cordoni viene conservato e donato alle banche pubbliche, si impedisce al restante 90% la possibilità di una conservazione autologa. Anche questa possibilità dovrebbe trovare spazio nella legge sul parto.
Infine, ho ricordato che una civile politica sulla maternità non può prescindere dal sostegno alle famiglie. La maternità è infatti la causa principale dell'abbandono del lavoro da parte delle donne. Diventare madri è il fattore primario che determina lo scivolamento verso l'inattività o il sommerso femminile, ed è la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro. Promuovere politiche per le famiglie e per le pari opportunità vuol dire investire in servizi e strutture per riuscire a conciliare il lavoro con la genitorialità. Gli asili nido, i micro-nidi, anche aziendali, devono poter essere una scelta per i genitori che lavorano, si' da avere i propri figli vicini durante la giornata.
Sebbene gli accordi comunitari di Lisbona ci chiedono di arrivare nel 2010 con una copertura territoriale di asili nido pari al 33%, di questo passo falliremo di molto l'obiettivo. Oggi siamo a neppure il 10%. Occorrerebbero 9 miliardi di euro, mentre l'attuale finanziaria ha stanziato solo 300 milioni.
Donatella Poretti
Qui il testo completo dell'intervento.