Torri che perdono la loro sicurezza o siamo noi a perderla? Sembra fare scuola il crollo della Torre civica di Pavia: Sbriciolata in terra, ci sembra dire è come sbricioleremo anche noi.
GRANDANGOLO, quattromila foto di Paolo Torres in mostra, a Pavia presso lo storico palazzo BROLETTO, domenica 9 gennaio volge al termine. Le foto potranno essere raccolte dai visitatori, con un’offerta che entrerà nei progetti della Chiesa di San Mauro: il centro restauri del Piccolo Chiostro, la mensa, l’armadio del fratello, e il dormitorio femminile appena inaugurato.
Trentacinque anni di lavoro a documentare da un posto ad un evento, da una ricorrenza ad una tragedia, l’esistere dell’umano, -traendone lezione, come quella Torre sembra ricordarci nella sua gigantografia. E sotto, sotto noi umani.
In posizione e naturalmente.
Nel bianco non possiamo fingere, nei colori ci trucchiamo.
Presi di volto, presi in azione. Politicanti, commedianti, modelle. Gente comune.
Squadre che alzano un campione, perchè ci riconosciamo in chi ce l’ha fatta.
Le forze dell’ordine che catturano e quelle che danno la libertà.
Discorsi da pulpiti e Papi che sono nella folla.
Alluvioni che danno spettacolo e l’alluvionata che sembra al mercatino dell’usato della propria vita.
Brindisi di amici, calici a cena, e sul tavolo il pugno dei lavoratori licenziati.
Piccoli irradiati da una centrale nucleare curati nell’ospedale universitario.
Malattie nuove, cure tentate, cure miracolose, cure fallite.
Di schiena sanitari, e quelli che ci mettono la faccia. Insieme volti che il giorno dopo non sono più. Una città di ospedali, di viaggi del miracolo, di trapianti.
Giullari a interrompere la serietà, ad alleggerire la scena.
Banchetti di fine festa, con l’acqua a portare via i pensieri portati a galla dal vino.
L’Angelo del Fiume, l’uomo che salvava le persone nel Ticino. In quanti l’avranno evocato nei vari annegamenti.
Commercianti che compongono il presepe della nostra quotidianità.
L’autorità che compare agli anniversari rubando la scena o creandola.
Cantanti che sono andati oltre il Fiume e quelli che il Fiume ce lo raccontano come scrittori, come pittori.
Scultori di storia longobarda, materiali in fieri.
Librai che sanno leggere libri, che consigliano quello che la vita deve insegnarci leggendosela.
Retate con prostitute, incontri in Osteria, dove un tenore canta ben mangiato.
In Piazza a protestare per quello che ci tolgono, per quello che non ci danno, per quello che migliorerebbe la nostra vita, che altrimenti saremmo ancora nella cava.
Spogliarelli nel cortile dei collegi univertitari a rompere la serietà del ruolo.
La Gelataia che piace a tutti.
Volti che non conosciamo e che non conoscono il nostro, in un gioco di specchi.
Bombe trovate, e donne bombe. Un bambino che gioca a pallone poco lontanto da una nube di incidendio.
Rinascite da incidenti, con eleganza.
Chitarre in barca, vogate, tiri nella rete della pallacanestro.
Apicalità che cambiano, con un umano a non ricordarlo mai, proprio mai.
Storie recenti di mascherine, che conosciamo quasi tutti.
Lasciare questa mostra è come lasciare una piazza, lasciare degli amici, lasciare delle lezioni di scuola, lasciare la fila dell’attesa per un posto in prima fila -quello della propria vita. L’idea dell’autore di fare una Piazza virtuale in cui ritrovare i suoi abitanti può fare di quella nostalgia del passato l’occasione per lasciarla nostalgia, ma visitabile con piacere.
E donare lo scatto ad un progetto sociale mantiene una piazza reale, fatta di persone e ruoli che vanno e vengono, come le nuvole di De Andrè e che possono essere per tutti fonte di temporarale, da non dimenticare per chi ha il sole quasi sempre in volto per la foto migliore.