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Il corpo e il mare. Una storia di abusi sessuali in famiglia
13 Febbraio 2007
 

Anna Lemos

Il corpo e il mare

Edizioni E/O, pagg. 250, € 12

 

Anna Lemos è nata a Lisbona nel 1959 e vive a Roma dal 1980. Figlia di un diplomatico, ha viaggiato durante tutta la sua infanzia e adolescenza. Ha studiato Scienze politiche alla Sapienza di Roma per poi lavorare come giornalista presso l’Agenzia di stampa portoghese. Ha fatto parte del gruppo di poesia LARP e ha pubblicato una raccolta di versi dal titolo La morte e la minestra (Edizioni del Giano, 1990). Debutta nella narrativa con un romanzo che racconta una storia di abusi sessuali in famiglia che pare ispirata al recente fatto di cronaca di Natasha Kampusch, la ragazza austriaca sequestrata e violentata per anni, ma che pare troppo vissuta per essere soltanto fiction.

Secondo Dacia Maraini il romanzo è scritto con «profondità emotiva e delicatezza», ma è soprattutto vero che la sua forza è uno stile frammentario e assolutamente non letterario. Il corpo e il mare affronta un argomento scabroso e difficile come quello delle molestie sessuali subite da una ragazzina. L’autrice modella un personaggio che ha molti riferimenti con la Lolita di Nabokov, ragazzina che fa innamorare un adulto, soltanto che in questo romanzo le avances sessuali provengono dal genitore. La storia è torbida e a tratti dura, difficile da digerire, fatta di dialoghi realistici e assurdi, situazioni complesse e angosciose. Il titolo è denso di riferimenti simbolici perché il corpo rappresenta la singolarità di un essere, mentre il mare è la vita di cui il corpo è parte e a cui deve tornare ogni volta che ne è separato. L’autrice dà vita a un personaggio vivo e reale e dipinge la protagonista come una ragazza intelligente, forte e determinata. Non ci sono descrizioni di luoghi nel romanzo che si potrebbe svolgere ovunque, contano soltanto i sentimenti e le persone, conta solo la vita di Antinea, protagonista violata che cerca il suo riscatto. L’amore e l’incapacità di amare sono i veri protagonisti di un romanzo intenso che si legge come una sceneggiatura di un film e si vede fotogramma per fotogramma.

Il romanzo è scritto in prima persona come una sorta di confessione di Antinea, un diario dove la protagonista racconta la sua storia in prima persona, da quando era piccola fino alla maggiore età. Antinea è orfana di madre e cresce sola con il padre, un avvocato di successo e le fa regali in continuazione. La ragazza vive in un mondo dorato e irreale che diventa sempre più inquietante quando il padre comincia a picchiarla se lei si oppone al suo pensiero. Quando Antinea compie dieci anni cominciano le molestie sessuali del padre e lei cerca di resistere con ogni mezzo, anche la fuga e l’isolamento, persino raccontando tutto alla nonna e alle zie che però non le sono di nessun aiuto. Il romanzo è strutturato su dialoghi e periodi rapidi, spezzettati, forse proprio per sottolineare l’angoscia crescente di una protagonista che scrive in prima persona senza ipocrisie o falsi moralismi. Per dare un’idea dello stile riporto l’incipit:

Ho guardato l’orologio. Era mezzanotte e dieci e questo significava che avevo diciotto anni da dieci minuti e non mi ero accorta di nulla. La metropolitana ha cominciato a tremare, a vibrare come se avesse perso i freni in un pendio ma dal ritmo delle ruote non sembrava aver accelerato, anzi: rallentava. Ho sentito l’altoparlante annunciare la fermata successiva e ho pensato che ne mancavano altre tre alla mia. Un pensiero dovuto all’abitudine: erano già dieci minuti che non avevo più una stazione ‘mia’, visto che, non avevo più una casa a cui dover tornare.

Mi sono alzata e mi sono precipitata verso la porta. Avevo bisogno di aria aperta, mi sentivo soffocare dentro quel vagone.

 

Gordiano Lupi


 
 
 
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