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Giuseppina Rando. Dove andremo?
Piet Mandrian (pittore olandese, 1872-1944),
Piet Mandrian (pittore olandese, 1872-1944), 'Albero rosso', 1909 
26 Dicembre 2021
 

È una realtà amara quella che oggi si vive con disagio e paura.

La crisi del sistema democratico e dei suoi valori è sotto gli occhi di tutti. Sembra che tutto sia fragile, precario e che da un momento all’altro si potrebbe precipitare in un baratro. I delitti si manifestano in modo sempre più numerosi e agghiaccianti. La povertà dilaga, la fame e le malattie imperversano, l’economia vacilla, la natura cade sotto la scure degli interessi economici, l’inquinamento ci impedisce di respirare, gli alimenti denaturati uccidono più delle guerre. E l’elenco potrebbe continuare.

Si invoca ripetutamente il senso di responsabilità che poi rimpalla da un soggetto all’altro.

Ci si chiede: dove andremo? Ci si convince sempre più che il mondo, la società stia cambiando e che lo stia facendo ad una velocità superiore alla nostra capacità di comprendere e adeguarci.

Eppure, sarà proprio questa capacità a determinare il nostro grado di adattamento e quindi la possibilità di sopravvivere ai rivolgimenti in corso e ai quali il Covid 19 ha impresso l’accelerazione che stordisce.

Si percepisce una deriva dell’essere umano e dei valori fondanti della società civile.

Attraversiamo una buia notte con l’angoscia di non scorgere alcun barlume all’orizzonte.

Lo scrive , a chiare lettere, lo scrittore, poeta e saggista Domenico Pisana nel passo qui riportato:

Penso che il clima politico e sociale sta diventando sempre più rovente: in Italia, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni, tra i cittadini. Cresce l’Italia che non ha fiducia nelle Istituzioni, nella politica, nella scuola, nella sanità, nella magistratura, nella stampa, nella Chiesa, nel sindacato, mentre lo scontro tra i poteri della Repubblica comincia a diventare una cancrena pericolosa.

Dove stiamo andando? Di chi la colpa di questo clima inquieto e sconcertante? Io credo che ogni articolazione dello Stato, dalla politica all’economia, dal sindacato alle forze imprenditoriali, dall’informazione alla vita sociale è lo specchio della società.

E la nostra è una società liquida, individualista e rissosa.

Confesso che provo disagio di fronte ad un vivere quotidiano divenuto una “riserva di caccia”, un pantano melmoso, un ring dove necessariamente bisogna fare a pugni per “abbattere” qualcuno, un villaggio di guelfi e ghibellini, rossi e neri, buoni e cattivi.

Cerco un’Italia che non c’è, una città che non esiste. Sogno cittadini che non ci sono.

Cerco una generazione di politici che tarda a venire. Siamo in stato di guerra: ai fucili del fronte armato sono subentrate le violenze verbali, psicologiche, giornalistiche, cinematografiche e mass mediali, le urla della piazza che grida vendetta.

Questo clima non favorisce la democrazia, acuisce la solitudine, germina l’ipocrisia sociale, porta all’immobilismo. Che fare? Sono convinto che non è più questione di centrodestra e centrosinistra, di maggioranza e di opposizione o di alternanze politiche, né di “partito dell’amore” e di “partito dell’odio”, ma di caduta generale del senso etico della vita che ci coinvolge tutti, e di rinuncia collettiva alla “ricerca della verità nella carità”.

Nei salotti televisivi quotidianamente assistiamo a dibattiti su tali argomenti, ma non sono sufficienti; non bastano le parole e l’elencazione dei problemi per uscire dalla crisi, dalla melma.

Necessita una forte volontà politica a livello nazionale e mondiale, un progetto capillare di educazione delle masse ai valori fondamentali della vita, della pace, della giustizia sociale. Se ciò non avverrà, la prospettiva del futuro sarà sempre più oscura ed inquietante. Si riconosca che l’attuale stato di disagio e paura è l’effetto di una umanità smarrita e malata e va alla deriva soprattutto perché ha smarrito la componente fondamentale della propria natura, la dimensione spirituale.

g.r.


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