Udimmo due cucchiaini di zucchero discorrere nel vuoto.
Mischiammo.
Udimmo ancora, dai confini del bicchiere come da un esilio,
il pianto, la preghiera
dei granelli di dolcezza. Erano sparsi e stavano leggendo,
assai commossi,
molti versetti indirizzati al vuoto. E nuovamente
mischiammo. Stavolta con un gesto netto, spietato come
un coltello.
Scendemmo col cucchiaio direttamente in acqua e picchiammo.
Sulla testa. Come
con i pesci. Ma invano. La voce era assai roca. Perduta.
In certo modo inaridita.
Sbattuta. Ma saliva ancora flebilissima da sotto una voce
divina. Implorante.
Come un singhiozzo o un mormorio.
Trad. Ariel Rathaus