Davide Grassi, Mauro Raimondi
Un calcio alla guerra
Milan-Juve del ’44 e altre storie
Milieu edizioni, 2021, pp. 222, euro 17,90
Chi pensa che il calcio e lo sport in generale siano avulsi dalla realtà e dalla storia potrà ben cambiare idea leggendo l’ultimo libro di Davide Grassi e Mauro Raimondi: Un calcio alla guerra, sottotitolo Milan-Juve del ’44 e altre storie.
Se il calcio fu sotto il regime mussoliniano arma di propaganda e instrumentum regni (o il pugilato con il titolo mondiale nei pesi massimi conquistato da Primo Carnera), così come nella Germania hitleriana le Olimpiadi di Berlino vollero essere una dimostrazione di arrogante potenza al resto del mondo, ci fu anche l’altra faccia della medaglia: i ribelli e i resistenti a vario titolo; Jesse Owens che umiliò la presunta superiorità della razza ariana; Bruno Neri, il mediano partigiano; Giacomo Losi, partigiano a dieci anni; Raf Vallone, calciatore in serie A con il Torino, due lauree, giornalista, attore di fama mondiale e partigiano; et cetera et cetera.
Il libro del duo Grassi-Raimondi è un lavoro enciclopedico e, nel contempo, un viaggio nel coraggio e nel dolore, con una miriade di storie recuperate dall’oblio. Quattro sono i macrocapitoli in cui si divide il libro: Scarpe rotte e colpi di tacco. Storie di calciatori e Resistenza; Un dribbling per la vita. Storie di calciatori in guerra; 2 luglio 1944: Milan-Juventus. La partita del rastrellamento; Gli sportivi dimenticati.
In un tempo quale quello della contemporaneità in cui la memoria è scarsamente coltivata e l’ignoranza storica alligna impietosa, fonte di mancata consapevolezza e di perenni guai per il presente, gran merito va ascritto a questo volume, frutto di anni di studio e ricerche.
Scrive Sergio Giuntini nella sua saggia e sapiente prefazione: “Un’intera generazione di protagonisti dello sport – di cui il volume rende un’esauriente attestazione – tedesco, austriaco, ungherese, polacco ecc. venne falciata senza pietà. Soprattutto la grande scuola schermista ebreo-magiara (18 medaglie olimpiche conquistate tra il 1908 e il 1936) fu cancellata. Ma pure una parte consistente di quella calcistica mitteleuropea: dall’Mtk Budapest all’Hakoah di Vienna. Schermidori, calciatori, pugili, atleti, nuotatori, sollevatori di peso e lottatori di valore internazionale indiscusso, se ebrei finirono deportati e uccisi negli inferni concentrazionari”.
Come si può constatare, il libro spazia per Paesi e situazioni: le più disparate e, ahinoi!, disperate. Si tratta anche dei caduti nel corso della Prima Guerra Mondiale, ennesima follia umana e implacabile bagno di sangue, come il capitano dell’Inter e colonna della Nazionale, Virgilio Fossati. È un viaggio ondivago e terribile. Poi c’è anche il capitolo fulgido della Lucchese antifascista, in cui militava l’anarchico Libero Marchini o Gino Callegari, romanista e ben noto al Duce in quanto integerrimo antifascista. E si narra la drammatica storia di Matthias Cartavelina Sindelar, uno dei più grandi giocatori non solo della sua epoca, ma di ogni tempo, il quale si era fieramente opposto all’Anschluss e aveva per compagna un’ebrea italiana. Entrambi morirono nel loro appartamento viennese, avvelenati, si disse, dal monossido di carbonio di una stufa difettosa. O fu un “suicidio” orchestrato dalla Gestapo?
Le storie si susseguono a ritmo serrato: nomi e volti avvolti nelle brume del dramma e della tragedia. 2 luglio 1944: Milan-Juventus, quella che fu la partita del rastrellamento. Non era una gara di campionato, sospeso dal 1943 con l’Italia spaccata in due, solo un’amichevole in cui, in prossimità della fine, l’Arena fu circondata da milizie germaniche e repubblichine per fermare i giovani delle classi dal 1916 al 1926 (esclusa quella del 1919) e catturare i renitenti alla leva o procacciarsi forza lavoro. Un capitolo che racconta di quella Milano devastata dall’occupazione nazista, dai bombardamenti, dall’angoscia quotidiana. E neanche il balsamo dello sport a lenire le sofferenze della gente.
Un lavoro certosino ha portato alla compilazione di questo capitolo per fugare le nebbie della dimenticanza. L’ennesimo episodio drammatico in un contesto già irreparabilmente tragico.
Colpisce come un terrificante pugno nello stomaco la vicenda della Nazionale olandese di ginnastica artistica, che nel 1928 aveva vinto la medaglia d’oro olimpica a squadre. “Dopo la guerra, per oltre cinquant’anni di loro si sa poco o niente. Di sicuro si conosce la sorte dei due allenatori, Geerit Kleerekoper e Jakob Moze, che dopo l’invasione tedesca finiscono nel campo di concentramento di Sobibór, morendovi il 2 luglio 1943. E le ginnaste? Un mistero rimasto insoluto per lungo tempo, dovuto anche al fatto che i nazisti nel campo di concentramento registravano le donne con i cognomi da sposate, mentre loro gareggiavano con quelli da nubili. Il mistero è dipanato grazie all’impegno di Fred Lobatto che ha preso a cuore la vicenda e ha seguito le tracce su queste premesse, Lobatto ha scoperto che tutte le ginnaste sono state deportate e uccise nei campi di concentramento di Sobibór e Auschwitz tranne una, Elka De Lieve. La memoria, almeno quella, è salva.”
Ma le storie sono infinite... Moses Friedler, alias Hertzo (o Harry) Haft, ebreo polacco, pugile, costretto a disputare, per il sollazzo delle SS, combattimenti sino alla morte di uno dei due contendenti. Johann Rukeli Trollman, tedesco e sinti, stessa sorte di Hertzko nei lager, solo che lui non sopravvisse.
Un libro che squarcia le tenebre, sollevando indignazione da un lato e commuovendo dall’altro. Uno spaccato storico senza pari. Un lavoro fondamentale. Doveroso ringraziare gli autori.
Alberto Figliolia