Le due architettrici ci rivolgono uno sguardo franco e diretto dai lati della porta che introduce alla mostra “Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice”, curata da Yuri Primarosa per le Gallerie Nazionali d’arte antica di Roma, aperta fino al 19 aprile 2022 – nelle sale di Palazzo Corsini alla Lungara. Il quadro di sinistra è un’Allegoria dell’Architettura, dipinto a Roma negli anni ’40 del Seicento (dal Modenino o da Angelo Caroselli). Raffigura una giovane dagli occhi chiari, con un velo sul capo, un abito azzurro scollato e un compasso nella mano destra. Bella, misteriosa, senza tempo, risulta ormai familiare a molti lettori, che l’hanno incontrata sulla copertina del romanzo dedicato a Plautilla Bricci di Melania Mazzucco, L’architettrice. Il quadro di destra, di autore ignoto, è invece un ritratto. Raffigura con realismo una ragazza, che indossa un abito color tabacco, impreziosito da fiocchetti rossi. Ha occhi neri distanti e asimmetrici, orlati da un’ombra, capelli (che s’intuiscono ricci) pure neri, naso grande, bocca a cuore, un braccialetto di pietre dure, dita affusolate. Anche lei ha un compasso nella mano destra, puntato su un foglio fitto di calcoli e disegni (un arco, dei pilastri). Poiché nel Seicento non esistevano altre architettrici, il dipinto, segnalato dall’acume di Gianni Papi, è con ogni probabilità il vero ritratto di Plautilla Bricci. E il confronto tra la figura idealizzata e quella reale è una sintesi folgorante dell’origine e degli intenti della prima monografica mai dedicata alla poliedrica artista romana.
Che s’iscrive nel progetto della direttrice delle Gallerie Nazionali, Flaminia Gennari Santori, di esplorare le reazioni di genere e valorizzare la professionalità femminile, e propone tutte le opere della Bricci, ricostruendo il variegato contesto in cui ha operato. Del resto la mostra è contenuta in un museo, il che attiva un incessante gioco di specchi, prestiti e influenze fra le pitture di Plautilla e quelle dei predecessori e contemporanei. È infatti l’Autoritratto di Artemisia Gentileschi a introdurre alla scoperta dell’altra grande pittrice romana del Seicento (Plautilla era nata nel 1616).
Come per Artemisia, fu il padre, Giovanni Bricci, figlio di un materassaio, commediografo, attore, poligrafo, pure lui pittore, sebbene di poca fama, e suo primo maestro, a determinare il futuro della figlia. Forse per aprirle il mercato dei quadri di devozione votò Plautilla alla verginità e la mise sotto la protezione di Maria. La storia della Madonna di Monte Santo, congegnata dal Bricci nel 1640, è una commedia a sé: basti dire che, pur trattandosi di una geniale contraffazione, ha realmente compiuto miracoli. Ma Plautilla seppe trasformare la condizione (imposta) di donna sola in un’occasione di straordinaria libertà: una moglie non monaca né zitella, potè restare signora e padrona di sé, del suo corpo e della sua arte.
Giovanni è assente dalla mostra (ma si possono leggere nel ricco catalogo i saggi di Gandolfi e Guerrieri Borsoi, che ne ha appena rinvenuto un affresco del 1608 nell’ospedale della Consolazione), mentre spicca l’abate Elpidio Benedetti (1610-1690), principale sostenitore di Plautilla, committente e alleato di tutta una vita. Primarosa rimarca che teneva in casa sua, vicini, due quadri: il proprio ritratto da giovane e una donna che dipinge. Non poteva dire altrimenti il legame che univa lui, abate, a una vergine. Benedetti era figlio di un ricamatore di Poggio Mirteto, Andrea: una pianeta realizzata per padre Ludovisi ne attesta la perizia. Nella sua bottega ebbe forse apprendistato la stessa Plautilla (le fonti ricordano sue opere di ricamo, perdute). Commerciante e intendente di quadri (commissionò al Puglia un’Adorazione dei pastori per la chiesa del suo paese natale), trasmise i suoi interessi artistici al figlio, che però trovò impiego al servizio di Giulio Mazzarino e dopo il suo espatrio in Francia ne divenne l’agente a Roma. In realtà il suo doppio; curava tutti gli affari – dalle minuzie all’arte, alla finanza e alla politica – del suo padrone. Che per carisma e assenza di scrupoli incute ancora soggezione nell’impressionante ritratto di Pietro da Cortona (qui, alla mostra, proposto per la prima volta). È Mazzarino il deus ex machina della vita di Plautilla. Perché fu la sua formidabile ascesa alla corte di Francia a permettere quella di Benedetti a Roma: intermediario d’arte sempre più potente, sognò di creare lui stesso e scelse Plautilla come esecutrice materiale. Con fine strategia, lei inizialmente accettò di sparire nella sua ombra. Il loro primo progetto architettonico (1657) fu la tomba di Mazzarino. Non si realizzò, come quello per la Scalinata di Trinità dei Monti (ipotizzavano di poter salire l’erta in carrozza). Il disegno è esposto nella sala dove nel 1689 morì Cristina di Svezia (di fronte al suo ritratto come Diana). L’androgina e dotta regina fu uno scioccante esempio di indipendenza per le donne di Roma e certo anche per Plautilla. Volle che si scrivesse sulla sua tomba: sono nata libera, vissi libera e morirò liberata.
Questa mostra doveva tenersi nel suo palazzo. Ma il suo cuore sono lo “studiolo” del Vascello e le sale con i dipinti di Plautilla. Nel primo, i prospetti autografi per la villa di Benedetti sul Gianicolo fronteggiano stampe settecentesche che mostrano quale in effetti fu. Perché il visionario capolavoro architettonico della Bricci (insieme alla cappella Benedetti in san Luigi dei Francesi), distrutto dai bombardamenti francesi nel 1849 non è giunto fino a noi: foto e stampe delle sue rovine divennero per i democratici di tutto il mondo simbolo di resistenza e libertà.
Le tele di Plautilla dialogano invece con alcuni raffinati dipinti di Romanelli, allievo del Cortona, prediletto da Benedetti e Mazzarino, che Plautilla conobbe fin dagli esordi e al cui stile si avvicinò (si vedano le rispettive Madonna del Rosario). Di Plautilla pittrice colpiscono i colori chiari, pastellati – già quasi settecenteschi – il classicismo rigoroso e la freschezza delle figure. Impareggiabili le giovani ancelle e la levatrice coi capelli bianchi della Nascita di san Giovanni, e l’angelo della lunetta del Sacro cuore di Gesù. Commuove la scritta che due volte “Plautilla Briccia Romana” pennellò: «Invenit». Rivendicava di essere non solo l’esecutrice dei quadri (Pinxit), ma colei che li aveva ideati. I troppi anni impiegati per conquistarsi quel diritto raccontano la sua lotta solitaria, tenace e infine vittoriosa.
Plautilla visse abbastanza a lungo da presagire il suo oblio. Non sappiamo ancora quando è morta e dove riposa. Forse perché, mai come adesso, la sentiamo viva e possiamo raccogliere il testimone della sua rivoluzione.
M.P.F.