Al di là dell’aurea del sommo Poeta c’è un “Dante non pedante” ed è il protagonista della mostra “Dante. Gli occhi e la mente. Un’epopea Pop” allestita fino il 9 gennaio al MART, il Museo d’Arte della città di Ravenna, nell’ambito delle celebrazioni dei 700 anni della morte del fiorentino. La chiave di lettura è suggerita dal curatore dell’evento, Giuseppe Antonelli, docente di linguistica italiana all’Università di Pavia, che in maniera filologica ha ricostruito la popolarità del Poeta il quale, uscito dalle accademie, entra nella tradizione orale popolare dei fumetti, nel cinema, perfino nella pubblicità.
«Abbiamo lavorato due anni per ricostruire un percorso organico che immaginasse questa fortuna popolare di Dante, cominciata già nel Trecento» sottolinea Antonelli. «La mostra si apre con un documento piuttosto prezioso, una lettera in cui Petrarca comunica a Boccaccio che smetterà di scrivere in volgare perché non vuole che i suoi versi siano storpiati, lui dice “sputazzati”, dal popolo che non li capisce. E presentiamo il Trecentonovelle scritto da Franco Sacchetti, morto nel 1400, in cui Dante si arrabbia perché sente i suoi versi storpiati da un fabbro e un asino che li cantano per strada. È l’inizio di una fortuna che arriverà ai giorni nostri».
In sette secoli Dante è diventato personaggio e icona visiva, così come popolari sono diventati i protagonisti della sua Commedia capaci di ispirare tanto le strisce a fumetti di Go Nagai, padre di Goldrake, quanto le pubblicità di digestivi che giocano sull’assonanza “purga-purgatorio”, e ancora videogiochi per la Playstation, in cui un nerboruto Poeta scende per liberare Beatrice, o le canzoni popolari di Venditti, Guccini, Jovanotti. Frammenti di cultura popolare che del percorso espositivo si possono rivedere nelle bacheche o si potranno riascoltare in uno speciale Jukebox.
«La mostra racconta anche la memoria orale di Dante che passa dalle letture dantesche, e noi riproduciamo quelle di grandi interpreti da Albertazzi a Gassman, per arrivare alle canzonette», aggiunge il curatore. «Ma c’è anche la memoria dei cosiddetti dantisti popolari, gondolieri, braccianti, briganti analfabeti che sapevano a memoria Dante. Esponiamo un referto medico del manicomio di Roma del 1872 che parla di un certo R.L., che impara a memoria la Divina Commedia e si esprimeva solo in terzine dantesche».
Se la Commedia è per tutti il “mezzo del cammin di nostra vita”, Dante è un’icona nata dalle immagini di artisti (tra questi si presentano le incisioni di Gustave Dorè), poi riprese da altri linguaggi, dalla pubblicità al cinema, come film del 1911 La Divina Commedia. L’inferno. Ma fama e successo spesso fanno rima con parodia.
«Tra le altre cose presentiamo l’intervista impossibile a Beatrice realizzata nel 1975 per Radio Rai da Umberto Eco, con regista Andrea Camilleri», sorride Antonelli. «È molto divertente perché appare una Beatrice femminista che descrive Dante come se fosse uno stalker e dice “non mi parli di quel Dante, me lo ritrovo in tutti i cantoni con quegli occhi da pesce bollito”. Poi raccontiamo di come in tanti, tra cui Nicola Zingarelli, quando uscirono le pubblicità del purgante, si scandalizzarono ma, come replicò Benedetto Croce in quella occasione, i grandi capolavori da sempre sono oggetto di allegorie e parodie».
La mostra si completa con una sezione, curata da Giorgia Salerno, che propone opere di artisti contemporanei i cui temi – dalla luce, alla donna, alle stelle – sono quelli che ricorrono nelle pagine della Divina Commedia.
M.P.F.