“Prese rapide dal vivo”: la poesia di Anna Chiara Peduzzi.
In ventuno testi di asciutta e stringente narrazione poetica, Anna Chiara Peduzzi affronta il tema del rapporto fra l’io senziente e la realtà attraverso la mediazione della Parola come metodo d’indagine conoscitiva, intanto che viene riducendo la complessità del mondo “in figure semplici”, quelle offerte specialmente dalla natura, allo scopo di aderire fedelmente alle percezioni che ne derivano, sebbene l’atto del pensiero che muove da quest’ultime avverta un’indicibilità misteriosa che rimane sepolta nel silenzio.
L’assillo della Peduzzi sta nella consapevolezza del fallimento del “discorso rappreso in superficie / con le sue frasi ed il respiro corto”, “specchio” del reale, ma “senza foglia”, privo, dunque, di ogni germinazione creativa; così che, misurando l’ampiezza del sogno conoscitivo con la parziale verità della nominazione, prende atto della impossibilità di raggiungere, attraverso essa, la scaturigine incandescente, “la fiamma iniziale” dell’Essere.
Da qui deriva una struggente tensione intellettuale, segnata dall’avvertimento del limite della lingua destinata, fra l’altro, a concettualizzare sostanze destinate a divenire “pulviscolo molecolare / informi scarti, / nella generale dispersione” e, allo stesso tempo, a raccogliere illusorie promesse di eternità là dove non si tratta che di registrare un identico ripetersi di nascite e morti, quel “moto d’elica o corda attorcigliata” che è “questo rifarsi e sfarsi atomìzzato”, del quale, fra l'altro, non “è dato vedere il processo / ma solo il risultato”.
Il pensiero sul mondo appare, allora, un travaglio vano, ché molto meglio sarebbe e più dolce abbandonarsi all’immanenza delle cose e “lì sostare senza peso e attrito”. Tuttavia è proprio in questo scarto tra l’avvertimento percettivo e la riflessione che si incunea non solo il mistero del dolore che attanaglia la natura tutta così come l’essere umano (“chissà dove precisamente si forma la tristezza / da quali impulsi nasce questo scritto”), ma anche la grazia di “attimi di pia chiaroveggenza”, che scaturiscono non dal nome rimasto “senza aureola”, senza l'energia del sacro, specie dopo la morte dei miti, ma da un misterioso oblio dell'abitudine raziocinante, una conquista di sapienza che accosta l’essere umano al “sapientissimo gelso” con le sue “bacche sanguigne”, a conferma che l'unico libro da leggere resta quello della Natura, che in questi versi è presente con i suoi elementi vegetali, minerali ed animali.
L’essere umano sembrerebbe assente, se non fosse per quel “tu” con il quale l’autrice spesso si relaziona: vedi, vedi che, rifletti e che tornano a rimettere al centro del discorso poetico della Peduzzi la relazione tra l’uomo e il mondo, tra la “lingua afasica” del primo ed il puro, pieno silenzio delle cose, tra lo scacco consapevole della fine e l'evento sottratto al tempo, immaginando significanti e significazioni sottratti ai segni alfabetici. Tutto il vivente raccolto nel Silenzio che fu prima del Tempo.
Questo comporta – come scrive Carlo Ragliani su Poetarum Silva, il 15 Luglio 2021 – che il silenzio sia parte sostanziale della versificazione dell'autrice, poiché questo è il ventre in cui riposa il seme della poesia. Scrive, infatti, la Peduzzi (pag. 21): “sta silente e non vista / in altro luogo la nutrice / che sazia questa fame”, sviluppando l’idea di una maternità insita nella poesia che s’affianca a quella della materia primordiale della terra, ché, poco prima, nello stesso testo aveva individuato nello “scambio del latte / e della terra l'intenzione e / il premio del lavoro”, evocando, mentre si immerge in un coagulo di tenebre e luce, antiche usanze sacrificali allo scopo di restituire al gesto poetico una ritualità misteriosa e non-razionale.
La postura filosofica, mai decorativa, di questa poesia – alimentata e dalla formazione culturale e dalla frequentazione quotidiana – non smentisce, dunque, le ragioni della poesia, rispettandone, innanzitutto, la vocazione al canto attraverso una tessitura musicale, che più che essere veicolata dalle rime e dalle misure metriche tradizionali (che non mancano) si avvale di una precisa attenzione all’accostamento di sonorità raffinate e alla volontà di versare nell’orecchio del lettore quasi un fiotto liquido (“come un fiume che al passaggio / tutto travolge”), non arrestato dalla punteggiatura.
Franca Alaimo
Anna Chiara Peduzzi, Figure semplici
Anterem Edizioni, 2021, pp. 40, € 9,00