L’adesione dei tedeschi al nazismo, prima e durante la seconda guerra mondiale, fu quasi totalitaria. Con poche, pochissime eccezioni, tra l’altro scarsamente conosciute. Che vanno da un gesto di bontà di un soldato, alla scelta di un operaio di aderire alla Resistenza italiana. Il 12 agosto ’44, a S. Anna di Stazzema, in occasione della infame strage di 560 civili perpetrata dalla Wermacht, un soldato tedesco si comportò correttamente nei confronti della famiglia Mancini che fu catturata dai tedeschi. Il soldato Peter Bonzelet ebbe l’ordine di ucciderli e poi di bruciarli col lanciafiamme insieme agli altri abitanti del paese. “Quel soldato aspettò che gli ufficiali se ne andassero”, racconta Mancini. “Io e mio fratello piangevamo terrorizzati. Ci guardò e con l’indice della mano destra sul naso ci disse di stare zitti. Poi ci indicò la via di fuga. Iniziammo a correre increduli, poi dietro di noi sentimmo una raffica di mitra. Strinsi la mano a mia madre, credevo d’essere già morto. Mi voltai e vidi quel tedesco sparare in aria, ingannava i suoi commilitoni, faceva finta di ucciderci, mi sembrò che sorridesse” (Lettera ai compagni, N. 2, 2010, pag.24).
Gaetano Arfè, partigiano in Valtellina con la Brigata Mortirolo, ha scritto: “In Val Grosina, nel gennaio o febbraio del 1945, scoprii l’Europa. Questa volta il maestro fu un disertore tedesco, un operaio di Amburgo, approdato alla nostra formazione con una fotografia in mano, quella della sua famiglia distrutta da un bombardamento. Era straziato, tenuto in vita dalla volontà dalla volontà di contribuire a trovare il modo perché mai più bande di pazzi criminali potessero mandare i popoli a scannarsi tra loro. E il rimedio lo aveva trovato: abbattere le frontiere, sciogliere gli eserciti, fare di tutti i popoli d’Europa un popolo solo” (Immagini della Resistenza, 3ª edizione 2011, Polaris, Sondrio).
L’attentato contro Hitler, organizzato prevalentemente da militari con l’intenzione di eliminarlo, per poter poi negoziare una pace separata con gli alleati, di evitare la disfatta e l’invasione della Germania, vide come protagonista il colonnello Claus Von Stauffemberg, che depositò un ordigno esplosivo nella cartella depositata ai piedi del Fuhrer, nella “tana del lupo”, ove era in corso una riunione. Qualcuno spostò la cartella, l’effetto dell’esplosione fu mitigato, Hitler rimase solo ferito, quattro morirono. La reazione di Hitler condusse all’arresto di 5.000 persone, molte giustiziate subito, altre inviate nei lager.
Oggi sappiamo molto di più. Seppur in misura ridotta, ci furono anche militari della Werhmact che, superando ogni remora, decisero di fare il salto di qualità, passando a combattere con i partigiani italiani contro i tedeschi. Si tratta di circa mille militari. Ce lo narra oggi il libro intitolato Partigiani della Wehrmact e sottotitolato Disertori tedeschi nella Resistenza italiana, scritto da Mirco Carrattieri e da Iara Meloni per l’editore Le Piccole Pagine. Il libro raccoglie i fatti, i nomi, il momento storico. “Riscattarono l’onore della Germania, ma dovettero vincere se stessi e superare una barriera morale, politica, psicologica di straordinarie proporzioni. Non si combatte contro la propria patria…eppure qualcuno questa scelta eroica la fece. E chi non pagò con la vita dovette subire una sorta di ostracismo al termine del conflitto, in quanto essere un disertore era pur sempre sinonimo di traditore anche nella Repubblica Federale, avviata sulla strada della ricostruzione democratica” (Stefano Folli su La Repubblica del 18/09/2021).
Sergio Caivano