Un titolo, In trasloco, che è un rimando chiaro al messaggio, quello della silloge di Luigi Crivellaro, che racchiude varie sezioni, non esclusi testi inglesi e traduzione di poeti.
È una poesia che si nutre di contrasti, fondamentale quello tra la realtà oggettiva e il desiderio, la fantasia, il ricordo, e la nostalgia che ne consegue: “La fantasia allora smania/ palpita trema e scalcia/ ma presto esala uno o due/ estremi respiri eversivi/ e si mette poi composta”.
È sempre in procinto di svegliarsi infatti la sua “faccia lunare”, quella vera, che “dorme inquieta”. Faticoso è accettare “aspri di solari/ ustioni e macchie di senescenza” per chi è “fatto invano di venti rari”.
La consapevolezza dell’età e dell’arco che si accorcia davanti a sé comunica una sensazione di transitorietà e di precarietà, con un bisogno di tenersi strette ancora le cose belle.
Ma la percezione del vuoto che si allarga intorno, del silenzio delle stanze vuote -“Questa casa s’è fatta grande/ da tempo mi ci perdo e tutta/ mi rotea intorno”-, il proiettarsi verso l’immagine delle finestre che un giorno si vedranno chiuse, lasciano il lettore a meditare sulla rapidità del viaggio terreno, che ci sfugge di mano. È doloroso, riflette Crivellaro, dover rimpiangere solo troppo tardi il non fatto, il non detto, il non vero: questo pensiero, lui dice, è un “macigno che ora mi affonda”, con la sensazione di aver sprecato il tempo: “il tempo non usato è come un frutto/ lasciato d’estate sul graticcio/ a marcire”.
Con l’entusiasmo del vivere che emerge da questi versi, l’idea del limite alla vita è percepita quasi come una sottrazione di possibilità, uno sgarbo, pur con la consolazione di una dimensione nuova: “Se accade che un giorno/ a voi non ritorno/ non è una scomparsa/ no, è solo una corsa/ dove s’acqueta il vento/ e più lieve è il cimento”.
Della vita si canta la forza della passione, del richiamo dei sensi, con la presenza di un tu femminile che porta fiamma e calore anche attraverso una conversazione: “Non mere parole ci scambiavamo/ ma carezze d’anima e immateriali/ abbracci, e come bombe silenziate/ impattavano contro i nostri sensi/ inquieti”.
Il passato si intreccia al presente con immagini di vita a contatto con la natura, di corse in bicicletta -“Quando erano tramonti/ freddi e smaglianti/ pedalava sugli argini/ agile controluce/ sullo schermo violetto/ dell’orizzonte”-, di cori giovanili che si innalzano dalla Basilica del Santo, di vecchi mulini al lavoro, di sacchi di grano macinato.
Ma si alternano a immagini del presente, con la consapevolezza di una tecnologia che ci aiuta ma che in realtà ci lascia fisicamente soli: “Ora che il giorno s’è capovolto/ e sente di cadere a capofitto/ nelle tasche rovesciate/ non si trova che un involto/ informe e di poco pese/ ah! che brutto affare,/ nient’altro che il vuoto/ astuccio del cellulare”. Intanto i giovani del coro sono invecchiati ma alle loro voci se ne uniscono altre più chiare, in questa ruotare delle nostre esistenze.
I versi di Crivellaro non contengono un doloroso ripiegamento su di sé bensì una oggettiva e dignitosa consapevolezza della ineluttabilità del “trasloco”, perché questa è la legge della vita, fin dal primo giorno in cui vediamo la luce. Ciò non esclude un sentimento umano di paura: “dentro sento un nodo/ pesante e davanti a me/ un buio allarmante”.
Non ci sono state concesse certezze, infatti “universale e generale domina/ una fallace relatività/ che riduce a maceria ogni certezza/ elude il tempo e illude la vecchiezza”.
Mentre la corrente “tutti ci trascina/ indifferente” questi versi trasmettono una fondamentale nostalgia, quasi una ingordigia di vita.
Marisa Cecchetti
Luigi Crivellaro, In trasloco
Biblioteca dei Leoni, 2021, pp. 88, € 10,00