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Sergio Caivano. Il processo di Norimberga
03 Settembre 2021
 

Nel corso di diversi incontri, i capi della coalizione antinazifascista, Franklin Delano Roosvelt per gli USA, Winston Churchill per la Gran Bretagna e Joseph Stalin per l’URSS, ai quali si aggiunge poi un rappresentante per la Francia, decidono di punire i responsabili dello scatenamento della seconda guerra mondiale e dei feroci, sadici crimini commessi durante la guerra. Nell’immediato dopoguerra, l’impegno viene mantenuto. Si istituisce il Tribunale Militare Internazionale. La sede scelta è quella di Norimberga, città tedesca emblematica per le tante celebrazioni del Partito del Terzo Reich. La città, inoltre, detiene un Palazzo di Giustizia spazioso con annessa una idonea prigione. A ciascuna delle quattro potenze viene concessa la presenza paritaria di giudici, sostituti procuratori, procuratori.

Il Tribunale Militare Internazionale apre i lavori il 20 novembre del 1945. Deve agire con equità, per dimostrare che non si tratti di una vendetta dei vincitori contro i vinti. Non sono presenti, perché deceduti, Hitler, Mussolini, Goebbels, Heydricht e Himmler, suicidatosi prima del processo; Eichmann, Mengele e Bormann perché fuggiti e al momento irreperibili. Restano tuttavia ben ventuno nazisti di notevole peso. Sono sottoposti a processo per “aver cospirato, iniziato ed intrapreso guerre d’aggressione; commesso crimini di guerra; commesso crimini contro l’umanità”. Il processo non è scontato: c’è l’accusa, c’è la difesa, c’è la Presidenza del tribunale, assolutamente terza tra le parti. Gli accusati possono difendersi, con dichiarazioni e con gli avvocati della difesa. L’accusa, spesso svolta dal procuratore capo Usa Robert Jackson, presenta documenti e si avvale di diverse testimonianze. Gli imputati hanno perso l’abituale arroganza, appaiono impauriti, rivelano carenze intellettuali e morali. Lo storico Shirer, presente al processo, scrive: “In abiti piuttosto lisi, rannicchiati sui loro sedili e in preda a un’agitazione nervosa, avevano di certo ben poco degli arroganti capi di un tempo. Sembravano piuttosto un gruppo abbastanza uniforme di esseri mediocri. Riusciva difficile immaginare che questi uomini l’ultima volta che li avevo visti avevano nelle loro mani un potere così mostruoso da dominare la propria nazione e conquistare gran parte dell’Europa” (William Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, 1963, pag. 1231-1233).

Gli imputati non rispondono adeguatamente. Mentono, non si ricordano, parlano di ordini ricevuti. Solo Goering tenta una autodifesa. Il punto di svolta del processo si ha quando Jackson, per l’accusa, si procura, e poi proietta in aula, i filmati di alcuni campi di sterminio, dai quali emergono indescrivibili scene di uccisioni praticate col gas, con le armi, con gli stenti. I sopravvissuti sembrano non appartenere al genere umano: hanno gli zigomi infossati, braccia e gambe rinsecchite, sguardi allucinati, pesano trenta, quaranta chili. E poi i morti, scheletri umani accatastati gli uni sugli altri. La proiezione lascia costernati. Muta il corso del processo. A questo punto gli imputati non possono più negare o minimizzare, abbozzano una difesa puerile: “io non sapevo, ero contrario ma gli ordini vanno eseguiti”. Il primo ottobre 1946 il Tribunale di Norimberga termina i lavori emettendo una meditata sentenza, che riesce ad individuare diversi gradi di responsabilità e a graduare le pene. Undici vengono condannati a morte per impiccagione. Sono: Goering, Ribbentrop, Rosemberg, Frank, Keitel, Frick, Jodl, Sauckel, Streicher, Kaltenbrunner, Emst. Sette sono condannati a pene variabili tra l’ergastolo e i dieci anni di reclusione, Speer, il noto architetto di Hitler, se la cava con vent’anni di reclusione. Tre vengono addirittura assolti. Il fanatico Goering afferma di essersi lasciato conquistare dalla luce sprigionata dagli occhi del Fuhrer, senza porsi il dubbio che quella luce fosse solo frutto di satanica pazzia. Nella notte precedente l’esecuzione, si suicida col cianuro. Le sentenze di morte vengono subito eseguite.

Molti altri spietati nazisti, autori di crimini nei diversi scenari d’Europa, riescono a sfuggire alle condanne rifugiandosi in altri paesi, soprattutto dell’America latina, grazie all’organizzazione Odessa, in possesso d’ingenti mezzi finanziari ottenuti con le spoliazioni operate dai nazisti nei Paesi occupati.

 

Sergio Caivano


 
 
 
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