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Alberto Figliolia. “Luigi Gualdi. Il Papillon italiano” di Gabriele Moroni e Mario Gualdi
27 Agosto 2021
 

Mario Gualdi, Gabriele Moroni

Luigi Gualdi. Il Papillon italiano

Un viaggio infernale dalla Bergamasca alla Caienna

Diarkos, 2021, pp. 160, Euro 15,20

 

L’inferno della Caienna. Un giovane italiano. Una storia maledetta culminata in una tragica morte.

Luigi Gualdi da Vertova, alta Val Seriana, anni Venti del secolo scorso, figlio di famiglia numerosa (11 fra fratelli e sorelle) e della povertà; dignitosa, ma sempre povertà (ma, ci domandiamo altresì, la miseria potrà mai essere dignitosa?).

Di simpatie anarco-socialiste, voglioso di uscire dall’indigenza, ma sprovvisto di mezzi e di istruzione (aveva frequentato sino alla terza elementare), Luigi decide nel 1923 di migrare oltralpe: Marsiglia e poi Gap. La vita è dura, il giovane ruba una bicicletta, ma non la fa franca. Arrestato, sconterà quindici giorni di carcere per essere, alla conclusione della pur breve pena, espulso dal territorio francese. Riportato a forza in Italia, vagherà fra Ventimiglia e Genova per circa tre mesi, non volendo rientrare al paese da sconfitto e umiliato. Varcherà di nuovo la frontiera, da clandestino questa volta. Sarà l’inizio di una odissea ancora più triste e penosa.

Luigi Gualdi. Il Papillon italiano... A distanza di quasi un secolo Gabriele Moroni, giornalista e autore di gran vaglia, cultura, curiosità e sensibilità, insieme con Mario Gualdi, nipote di Luigi, ha ripescato dai meandri dell’oblio la vicenda umana e le disavventure del giovane vertovese, che rivivono nel libro scritto a quattro mani, per l’appunto Luigi Gualdi. Il Papillon italiano (2021, pp. 160, Euro 15,20, Diarkos).

È un racconto stringente, straziante, struggente, una discesa agli inferi, con un’analisi storica accurata e un’impeccabile ricostruzione degli eventi, compreso il duro corso della Giustizia, che avrebbero portato il povero Luigi alla Caienna e all’Isola del Diavolo. Ma, se la fortuna arrise al più celebre Henri Charrière che sarebbe infine riuscito dopo innumerevoli peripezie a rocambolescamente fuggire e a rifarsi una vita, così non fu per l’ingenuo e malcapitato Luigi che nella Guyana finì per morire di malaria (e stenti). Crudeli furono i giorni della prigionia e ancor più crudele il silenzio che circondò la scomparsa di Luigi, dal momento che i familiari lo vennero a sapere molto dopo, per intercessione delle autorità italiane presso quelle francesi. Le sue spoglie mortali, come quelle di tanti altri compagni di pena, furono affidate all’oceano e agli squali.

E com’era giunto alla Caienna Luigi Gualdi? Detto del suo rientro clandestino in Francia, Luigi cominciò, per inesperienza e disperazione, a frequentare ambienti poco raccomandabili e, soprattutto, la causa prima della sua rovina, tale Laurent Gauthier, detto Dedé, malvivente scafato e senza scrupoli. “Fra Gauthier e Gualdi si forma una coppia sgangherata quanto tragica”, è l’inizio della fine... In una notte da tregenda, in un tentativo di furto mal riuscito in una fattoria, Gauthier fulmina il proprietario. Anche se non spara, Luigi è suo complice. Comincerà una fuga spasmodica fra contrade, campagne, boschi e gelo (era dicembre), i due si separeranno, ma non vi sarà scampo. Il mal assortito duo sarà catturato. Seguirà il processo, che nel volume di Mario Gualdi e Gabriele Moroni viene ampiamente trattato con la riproduzione di documenti reperiti dopo un’accanita ricerca di archivio e nei giornali d’epoca. Luigi scamperà alla forca, pena inflittagli all’inizio, ma saranno comunque, in secondo grado, i lavori forzati a vita.

Dal carcere di Sisteron a quello di Fresnes, dove la rabbia di Luigi esplode – ciò che gli costerà l’inserimento nella terza classe criminale, “quella dei delinquenti più pericolosi, gli irrecuperabili. […] Per Gualdi è l’inferno del bagno penale.” Passato, presente e futuro si confondono: verbi in coniugazioni senza più alcun senso.

Impressionante, ai limiti dell’indicibile, è il resoconto del viaggio (in gabbia) verso quelle che, amara e non voluta ironia, vengono chiamate le Isole della Salvezza: specchio di barbarie senza fine. E poi... poi “Le condizioni di vita sono terribili: il calore è insopportabile, malaria e lebbra sono sempre in agguato. Nella giungla vivono alligatori, serpenti, e animali feroci, i piranha dominano i fiumi. L’oceano Atlantico è infestato dai pescecani e vigilato dalle navi pattuglia. Il lavoro è pesantissimo, la disciplina spietata. I nuovi ranghi, nudi e prima di venire rivestiti con sformati pantaloni da pigiama a strisce bianche e rosse, scarpe e cappello di paglia, vengono radunati nel camp de transportation. Li catechizza il comandante della prigione, in uniforme bianca ed elmetto:

Non dimenticate che abbiamo due guardiani: la giungla e il mare. Se non verrete mangiati dagli squali o le vostre ossa non verranno ripulite dalle formiche, pregherete presto di riuscire a tornare qui. Allora sarete severamente puniti. Verrete rinchiusi in isolamento. Il primo tentativo di fuga vi farà avere due anni in più, il secondo cinque.

Sopra i tetti di ferro ondulato delle celle si posano i pipistrelli vampiro: invisibili nell’oscurità nonostante l’enorme apertura alare, attendono che la vittima abbia preso sonno per posarsi silenziosamente sui suoi piedi, colpire, affondare i denti aguzzi nella carne e nutrirsi del sangue”.

Orrore puro. Più che applicazione del concetto e del principio di Giustizia pare Vendetta. Del resto uno degli scopi, non tanto reconditi, di questi luoghi era che potessero fungere anche da discarica sociale, restituendo alla nazione un senso di sicurezza con l’illusione di liberarsi del crimine.

E le “fosse dell’orso”? E i forzati murati nei corridoi?

Signore, in risposta alla Vostra lettera del 30 ottobre ultimo ho l’onore di metterla a conoscenza che il deportato Gualdi Luigi, Ma. 40061, è deceduto nell’Isola della Salute il 9 giugno 1928, a seguito di diarrea. Nel caso che la famiglia di Gualdi desiderasse ottenere un estratto dell’atto di morte, dovrebbe solamente rivolgersi al Ministero delle Colonie, 27 Rue Cudinot, Paris (7e). Voglia gradire la mia più altra considerazione.

Una comunicazione tardiva, fredda e burocratica, per annunciare la morte del ventitreenne vertovese, vittima di sé stesso e, in primis, preda di una società in cui la magica e mistica triade Liberté-Egalité-Fraternité, di qua e di là delle Alpi, suona coma una vuota o retorica espressione.

Luigi Gualdi si giocò vita e destino in quattro giorni, come risucchiato in una spirale di irresponsabilità, in un vortice di follia. Commise reati. Si macchiò di colpe che nessuno può giustificare. Fu certamente figlio e insieme vittima dei luoghi e dei tempi in cui trascorse la sua brevissima esistenza. La povertà che lo costrinse all’emigrazione. L’essersi imbattuto, in Francia, in un regime carcerario durissimo e in un sistema giudiziario severo fino alla spietatezza, che prevedeva la deportazione in quell’inferno dei vivi chiamato Caienna. In altri tempi, in un’epoca successiva, Luigi Gualdi avrebbe scontato una pena, anche lunga, in un carcere e ne sarebbe uscito con davanti a sé ancora un po’ di vita”.

Un gran libro, per la cui uscita essere grati: illuminante testimonianza e preziosa narrazione, dai risvolti estremamente drammatici e nel contempo, come doveroso, intrisa di umana pietà.

 

Alberto Figliolia


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