Maria Grazia Calandrone
Splendi come vita
Ponte alle Grazie, 2021, pp. 219, Euro 15,50
Con lo sguardo intimo della donna che è oggi, Maria Grazia Calandrone dipinge il ritratto di sua madre e del rapporto difficile e intenso che l’ha legata a lei in vita. Ne esce un racconto poetico senza reticenze e senza accuse, scritto di getto, dice l’autrice – scritto da solo, nel giugno 2020 – ma covato sicuramente per anni.
Una storia intima e personale che diventa allegoria e può parlare a tutti noi, universi contigui, ciascuno col suo monolito di dolore e gioia, sconosciuto a se stesso. Ed è riuscita l’autrice nel suo proposito dichiarato di sfondare il guscio, il carapace, che contiene ciascuno e – così contenendo – divide. Arrivare al cuore radiale della vita, all’infinito dentro le persone – e che lega persona a persona – e tutte queste creature, meravigliose e misere, all’eternità barbara e incandescente delle stelle.
Maria Grazia viene adottata a otto mesi da una coppia di coniugi della borghesia romana, lei insegnante, lui sindacalista e parlamentare, dopo essere stata abbandonata dai giovani genitori. Della sua triste vicenda ai tempi si è scritto sui quotidiani, senza alcun riguardo per lei – per quel che sarà il suo futuro – e per gli altri interessati. L’immagine che ci viene restituita è quella di un Paese, l’Italia, degli anni ‘60, più che mai invischiata nella cappa asfittica del moralismo che porta a giudizi impietosi quanto beceri.
La piccola viene etichettata come vittima e frutto di amori sbagliati, di passioni vergognose e gli sfortunati genitori, in quanto adulteri e poi suicidi, come pessimi individui abbandonatisi al peccato e poi distrutti dal senso di colpa. A quattro anni, l’apprendimento di questa verità: Io non sono la tua mamma vera, nelle parole della madre adottiva. Da lì, la ferita primaria. E la caduta, dal paradiso di un’infanzia beata, al Disamore, come la chiama l’autrice che, per il resto della vita, segnerà il suo rapporto con la madre adottiva.
C’è molta incredulità nell’accorgersi di un amore intenso che pian piano e inspiegabilmente viene meno, da parte di qualcuno verso cui lo si prova intatto e lo si sentiva ricambiato fino a un attimo prima. E questo lo si avverte, nella narrazione di Maria Grazia Calandrone; nel dolore che traspare lacerante da certi suoi ricordi, chiari come istantanee messe ben a fuoco, da alcuni passaggi che trafiggono anche grazie all’uso di una lingua ricercata non per vezzo, ma per consuetudine, visto il suo essere poetessa. Non vi è accusa, invece. Nessun astio.
Il racconto si basa sul fatto, già noto all’autrice, e che emergerà invece in chiarezza solo quando lei sarà adulta, che la madre è afflitta da gravi problemi psichici. Una diagnosi tardiva attribuirà finalmente un nome allo sperpero grande di Madre che da 25 anni la scuote.
“Allora non era colpa mia”.
No, non lo era.
E questo libro, così denso di parole – visto che, come scrive Calandrone, A parole sono nata da te e a parole ti accompagno – così denso di vita, quindi capace, accanto alle immagini commoventi di dolore, di restituircene altre anche ironiche e che fanno sorridere, così dense di amore redo possa essere stato lenimento per la scrittrice. Possa aver fatto tornare a lei la Mamma, farle aver fatto risalire definitivamente l’abisso, ora che con le parole ha potuto ritrovare la donna, l’Essere che ognuno di noi è, al di là dei ruoli, separato e autonomo e perciò tanto più amabile.
Per salutarsi reciprocamente, lei la Mamma e questa la Figlia; per poter mettere al bando, dalla vita che resta, le parole delusione e colpa, lasciando invece che alla Vita si accompagni un tentativo tenace. Quello che dà, così bene, titolo al romanzo: il tentativo di splendere.
Annagloria Del Piano