Forse non c’è forma di spettacolo che meglio del musical sia capace di esprimere quel che si dice “il sogno americano”. Nel musical, infatti, sull’azione e sul dialogo realistici, prevalgono spesso il canto e la danza, e cioè dirette espressioni dei sentimenti. E “il sogno americano” è in primo luogo un sentimento: uno slancio della volontà, una vertigine dell’entusiasmo, tanto che i personaggi possono a momenti illudersi che soltanto un soffio li separi dalla realizzazione dei loro sogni. Ma poi il racconto provvede a ridimensionare le loro aspettative, a farli misurare con gli ostacoli della realtà.
Questi connotati di tanti musical americani si ritrovano anche nel film In the Heights - Sognando a New York, che il regista Jon M. Chu ha ricavato dal musical di Broadway, già vincitore di 4 Tony Awards, opera dello scrittore e compositore Lin-Manuel Miranda (che sarà poi autore di un altro musical di grande successo anche popolare: Hamilton).
In the Heights si svolge per intero nel quartiere newyorchese di Washington Heights, popolato dalla comunità di immigrati dall’America Latina.
Il protagonista, in particolare, è un ragazzo, che gestisce nel quartiere un emporio e che coltiva in cuor suo un piccolo sogno, un sueñito lo chiama lui stesso: restaurare il locale sullo spiaggia a Puerto Rico che già fu di suo padre, e ritornare nella sua patria di origine.
Ma anche altri abitanti del quartiere coltivano un loro sogno: una ragazza, aspirante stilista, vorrebbe trasferirsi in centro e aprire un proprio atelier; un uomo che ha fatto fortuna nel quartiere, vorrebbe che la figlia frequentasse un college esclusivo, ed è disposto a vendere le proprie aziende per pagarle la retta.
In genere gli abitanti di Washington Heights sono insofferenti del loro quartiere che – malgrado lo spirito di comunità, il calore umano che lo anima – ha l’aria di un ghetto, ed è vissuto come uno stigma di miseria e di discriminazione. L’insopportabilità di viverci si somatizza nell’afa di un’estate, resa insopportabile poi da uno storico blackout che manda in tilt i condizionatori d’aria.
Ma le aspirazioni di fuga e di promozione sociale dei personaggi incontrano, come anticipavo, tante difficoltà pratiche e psicologiche. E allora alcuni si chiedono se i sogni non siano che inganni, e se non sia più saggio accontentarsi – e valorizzare – ciò che si ha.
Il racconto alterna con sapienza – quella sapienza che sembra come depositata nella tradizione del musical – grandi scene corali a scene intimiste, fino ai monologhi interiori, nei quali i personaggi hanno modo di esprimere anche la malinconia, le crisi di scoraggiamento, o al contrario la determinazione a combattere, nonostante tutto, per i propri sogni, privati ma anche di giustizia sociale.
Così l’euforia si alterna alla tristezza, l’unione amorosa al disaccordo e alla prospettiva della separazione, la sensualità sfrenata alla malattia e alla morte, come per racchiudere in uno spettacolo l’intera gamma di sentimenti del quartiere.
E lo spettacolo è spesso emotivamente trascinante, anche se può lasciare qualche riserva. Personaggi e situazioni sono semplificati fino ad apparire tipici. E la dimensione del palcoscenico – che obbliga a scenografie e a luci stilizzate – è forse più congeniale – rispetto all’ambientazione realistica del film – a un’azione stilizzata come la danza e il canto.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 31 luglio 2021
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