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Gianfranco Cercone. “In the Heights - Sognando a New York” di Jon M. Chu
03 Agosto 2021
 

Forse non c’è forma di spettacolo che meglio del musical sia capace di esprimere quel che si dice “il sogno americano”. Nel musical, infatti, sull’azione e sul dialogo realistici, prevalgono spesso il canto e la danza, e cioè dirette espressioni dei sentimenti. E “il sogno americano” è in primo luogo un sentimento: uno slancio della volontà, una vertigine dell’entusiasmo, tanto che i personaggi possono a momenti illudersi che soltanto un soffio li separi dalla realizzazione dei loro sogni. Ma poi il racconto provvede a ridimensionare le loro aspettative, a farli misurare con gli ostacoli della realtà.

Questi connotati di tanti musical americani si ritrovano anche nel film In the Heights - Sognando a New York, che il regista Jon M. Chu ha ricavato dal musical di Broadway, già vincitore di 4 Tony Awards, opera dello scrittore e compositore Lin-Manuel Miranda (che sarà poi autore di un altro musical di grande successo anche popolare: Hamilton).

In the Heights si svolge per intero nel quartiere newyorchese di Washington Heights, popolato dalla comunità di immigrati dall’America Latina.

Il protagonista, in particolare, è un ragazzo, che gestisce nel quartiere un emporio e che coltiva in cuor suo un piccolo sogno, un sueñito lo chiama lui stesso: restaurare il locale sullo spiaggia a Puerto Rico che già fu di suo padre, e ritornare nella sua patria di origine.

Ma anche altri abitanti del quartiere coltivano un loro sogno: una ragazza, aspirante stilista, vorrebbe trasferirsi in centro e aprire un proprio atelier; un uomo che ha fatto fortuna nel quartiere, vorrebbe che la figlia frequentasse un college esclusivo, ed è disposto a vendere le proprie aziende per pagarle la retta.

In genere gli abitanti di Washington Heights sono insofferenti del loro quartiere che – malgrado lo spirito di comunità, il calore umano che lo anima – ha l’aria di un ghetto, ed è vissuto come uno stigma di miseria e di discriminazione. L’insopportabilità di viverci si somatizza nell’afa di un’estate, resa insopportabile poi da uno storico blackout che manda in tilt i condizionatori d’aria.

Ma le aspirazioni di fuga e di promozione sociale dei personaggi incontrano, come anticipavo, tante difficoltà pratiche e psicologiche. E allora alcuni si chiedono se i sogni non siano che inganni, e se non sia più saggio accontentarsi – e valorizzare – ciò che si ha.

Il racconto alterna con sapienza – quella sapienza che sembra come depositata nella tradizione del musical – grandi scene corali a scene intimiste, fino ai monologhi interiori, nei quali i personaggi hanno modo di esprimere anche la malinconia, le crisi di scoraggiamento, o al contrario la determinazione a combattere, nonostante tutto, per i propri sogni, privati ma anche di giustizia sociale.

Così l’euforia si alterna alla tristezza, l’unione amorosa al disaccordo e alla prospettiva della separazione, la sensualità sfrenata alla malattia e alla morte, come per racchiudere in uno spettacolo l’intera gamma di sentimenti del quartiere.

E lo spettacolo è spesso emotivamente trascinante, anche se può lasciare qualche riserva. Personaggi e situazioni sono semplificati fino ad apparire tipici. E la dimensione del palcoscenico – che obbliga a scenografie e a luci stilizzate – è forse più congeniale – rispetto all’ambientazione realistica del film – a un’azione stilizzata come la danza e il canto.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 31 luglio 2021
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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