Si è detto che l’origine del racconto poliziesco è nella tragedia di Edipo re. Si sa che quando la pestilenza infuriava a Tebe, il re Edipo promosse un’inchiesta per scoprire quale dei tebani avesse commesso una tale colpa da far meritare alla città una simile punizione divina. E il risultato dell’inchiesta, come è noto, fu che il colpevole era Edipo stesso che, sia pure senza rendersene conto, aveva ucciso il proprio padre e aveva sposato la propria madre. Un’indagine sul mondo esterno aveva portato alla luce una realtà interna al promotore dell’indagine; che non riguardava soltanto le sue azioni, ma, almeno secondo la psicanalisi, le sue intenzioni e i suoi desideri inconsapevoli.
Il mito di Edipo può tornare alla memoria assistendo all’ultimo film di Marco Bellocchio, dal titolo: Marx può aspettare, presentato al festival di Cannes e uscito contemporaneamente nelle sale italiane.
Si tratta di un documentario che verte intorno a un’indagine su un tema privato, relativo alla famiglia dell’autore. Uno dei suoi fratelli – il suo fratello gemello – malgrado fosse un ragazzo di bell’aspetto, socievole, fidanzato, almeno in apparenza realizzato professionalmente (aveva conseguito una laurea all’ISEF e gestiva una sua palestra), malgrado questi connotati rassicuranti, si era ucciso.
L’indagine intende scoprire perché lo abbia fatto. Allo scopo sono interpellati familiari e conoscenti, è esaminato non soltanto il profilo psicologico del ragazzo, ma anche il contesto storico, sociale e culturale in cui la sua vicenda si inseriva.
Allo stesso tempo, però, l’indagine si sposta progressivamente dalla figura del fratello alla persona dell’autore del film.
C’è una domanda che induce, quasi costringe, il racconto a tale spostamento: come mai, pur avendo convissuto per tanti anni con quel fratello, egli non abbia mai avuto alcun sentore delle sue intenzioni suicide.
È una mancanza che egli sa di condividere con gli altri familiari, ma nel suo caso quella domanda è particolarmente impellente perché esistono documenti che fanno supporre che proprio l’indifferenza, l’insensibilità di quel fratello già celebre, al suo disagio, al suo dolore, possano essere tra le ragioni che hanno indotto il ragazzo a uccidersi.
L’indagine investe allora una di quelle colpe irrimediabili, fatali, sulle quali si potrebbe preferire chiudere gli occhi (si sa che Edipo, svelata la propria colpa, si accecò, come per non volerla più vedere).
E io credo che soltanto i tanti anni trascorsi abbiano permesso all’autore di condurre un’inchiesta – che è in effetti anche un processo a se stesso, una confessione – con serenità, con equilibrio, nonostante la materia sia tanto scabrosa e l’autore non sia indulgente, ma nemmeno eccessivamente severo, circa le proprie responsabilità.
Non riferirò il risultato dell’indagine, che non è certo univoco e definitivo.
Accennerò soltanto all’episodio emblematico a cui si riferisce il titolo del film. Una volta il fratello – ai tempi del Sessantotto – aveva confidato all’autore la sua insoddisfazione esistenziale. Gli era stato risposto che avrebbe dovuto unirsi alle lotte studentesche, perché dopo la rivoluzione, in un nuovo assetto sociale, anche problemi di disadattamento come il suo avrebbero trovato una soluzione.
Il fratello aveva commentato appunto: “Marx può aspettare”. E in quelle parole risuona, più che il suo scetticismo, la sua amarezza. Evidentemente non si era sentito davvero ascoltato. Questo piccolo episodio di mancanza di comunicazione è il sintomo di un’ideologia che guardando a orizzonti di palingenesi collettiva, poteva trascurare, minimizzare, problemi e dolori individuali.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 17 luglio 2021
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