… C’è ancora da dire, non parlando mai di colpe e ragioni, che la famiglia ha subito notevoli cambiamenti a causa di profonde spinte psico-sociali. L’identificazione attraverso il ruolo sta diventando impossibile: troppi ruoli, nessun ruolo. All’apice di questo sradicamento le frequenti separazioni, i conseguenti divorzi, le continue convivenze spurie; nel frattempo è ricorrente il desiderio della generatività.
Passando per i punti nodali del dibattito ‒ la sofferenza del bambino e il doppio legame ‒ si riprende dalla generatività. Da cosa dipende il desiderio di avere un figlio? anche se divorziati, anche se single, anche se gay? Risponde Luigi Carella, psicoterapeutica di formazione adleriana e organizzatore del Convegno: “Il desiderio di avere figli è innato nella nostra natura: l’uomo vuole la sua eredità, la donna vuole esplicare la sua maternità. Un desiderio forte che non può essere sfogliato come una margherita: sì, no, sì; il sesso è comandato dal centro nervoso e si potrebbe bloccare. Già oggi la coppia si forma più tardi, poi vuole un periodo di assestamento, di divertimento, di riflessione, e quando decide di avere un figlio pensa che sia come azionare una macchinetta”. Un congegno perfetto che si potrebbe anche difettare o arrugginire per mancato o cattivo uso: sondaggi sulla donna italiana dicono che un’alta percentuale a trent’anni è ancora senza figli o ne ha soltanto uno. Oggi la donna è in condizione di decidere se e quando avere un figlio ‒ almeno teoricamente/tecnicamente ‒ e non pare ne abbia tanta voglia: non è semplice conciliare lavoro e affetti, esigenze personali e dedizione totalizzante per altre vite. Salvo poi accusare irrequietezza e infelicità alla soglia dei quarant’anni, e lì decidere, sul filo di lana, se avere o non avere questo benedetto figlio, e magari scoprire di essere ormai fuori tempo massimo.
“Secondo la sua esperienza, professore, lo stress agisce sulla fertilità della coppia?”. “Lo stress agisce in tutte le situazioni”. “Ma qui si arriva già stressati a trent’anni!”.
Come, proprio oggi, che si pensa di avere a portata di mano l’elisir di lunga giovinezza? “Sapete di quella donna di Milano che per farsi il lifting agli occhi è diventata cieca?” per l’appunto.
“Una coppia che conosco ha adottato un bambino, e subito dopo lei è rimata incinta”; sono casi frequenti, conferma l’esperto: l’appagamento induce alla serenità che sollecita la fertilità.
Dalla relazione scritta. Il bambino oggi: Nel suo “immaginario” il bambino vive un luogo senza limiti: con l’idea di dargli tanto spazio non gli si dà che un unico spazio, pericoloso, del “fai da te”, che può suonare, alla sua mente in formazione: ‘fai quello che vuoi, mai nessuno ti potrà contrastare’. Non c’è quindi da meravigliarsi di un atteggiamento dittatoriale già dei ragazzi, ormai molto diffuso anche tra i bambini, e che fa da contrappeso a quello genitoriale di un tempo che fu, tale da creare molti danni, ma non così pesanti come quelli attuali creati dai più giovani e giovanissimi.
“Mi chiamavano terrone, la mia era una famiglia di immigrati. I compagni di scuola mi dicevano cose turche, mi davano spintoni, mi buttavano a terra e i passanti non dicevano niente, non facevano niente, come se fosse normale, come se fosse giusto...”. Bullismo e indifferenza che quasi non fanno più notizia ma sempre più vittime che raramente denunciano per paura o vergogna. Dopo la viscerale testimonianza prosegue la lettura: Una moltitudine di alunni delle scuole primarie vive la scuola con grande disagio. Indagini psico-pedagogiche hanno evidenziato dati veramente preoccupanti e, per certi versi, anche drammatici. Per molti ragazzi il danno si è prodotto già dalla scuola materna, caratterizzando gravi incapacità istituzionali, proprie del corpo docente e non di rado delle famiglie di provenienza, e ciò facilmente determina nel tempo l’abbandono della scuola; analfabetismo di ritorno: chi disimpara e chi non impara affatto. Molto diffusa è anche l’incapacità ad instaurare rapporti con i compagni, ad affrontare l’inserimento superando l’ansia che la situazione può comportare, e così via via, fino alle fobie scolastiche vere e proprie: il bambino piange per andare a scuola, presenta un forte stato d’inquietudine, è preso da vomito, soffre incubi durante il sonno. Talvolta il disagio si prospetta come noia che è anticamera della depressione, tanto da accettare la scuola e le relative lezioni con sensazioni di disturbo: ciò genera demotivazione con conseguente deficit dell’attenzione, ovvero, in forma reattiva, con risposte di iperattività.
Mio figlio è tanto vivace, un diavoletto, si sente dire spesso con un certo vanto da tante mamme, novelle Cornelie, che semplicemente rispecchiano, con i loro rampolli, il mondo che li circonda e in un certo senso intelligentemente vi si adeguano.
Se la maggior parte delle responsabilità è attribuibile al comportamento di genitori troppo presenti o troppo assenti, va anche attribuita alla scuola una notevole impreparazione, perché carente di strumenti adeguati.
Si fa quel che si può, che non corrisponde a quanto si vorrebbe: l’insegnante dibattuto tra le aspettative personali e quelle concretamente perseguibili, sballottato dalla mobilità, precario a tutti gli effetti, dovrebbe farsi carico di trasmettere ai propri studenti ciò di cui egli stesso spesso è mancante, ovvero autostima e progettualità. Come fargliene un addebito in caso di fallimento?
Risultano quindi inadeguate le strutture istituzionali per gestire tanti bambini che già si portano dietro disagi dovuti all’ambiente familiare.
Circolo vizioso, quei bambini oggi con segnali di disagio saranno domani punto di riferimento per le nuove leve, in un sistema sociale e scolastico tutto da riconsiderare per una concreta funzione positivamente formativa.
In generale, lo scolaro, a casa, pur avendo molti potenziali stimoli – computer, giochi, TV ecc. ‒ è poco autonomo emotivamente, tanto che quando si tratta di risolvere i compiti di scuola vuole la mamma vicino o altra figura di appoggio. Solitamente sono bambini viziati, iperprotetti in forme inadeguate, oppure lasciati troppo soli, affidati ai nonni, alla baby sitter o altre figure sostitutive, perciò come conseguenza il disinteresse è una risposta frequente.
Viziati, questi bambini svezzati anzitempo, sballottolati da un custode all’altro, da un ambiente all’altro, disorientati dai diversi toni di voce, o abbandonati precocemente a se stessi? Vizianti, queste mamme sommerse da mille incombenze, deprivate di quell’istinto infallibile proprio della loro natura, con la mente oberata di nozioni da assumere come puntelli alla propria insicurezza, tormentate dai sensi di colpa che non risparmiano neppure la migliore delle madri? E i padri, che dire dei padri? Come si pongono i padri senza più autorità e spesso senza autorevolezza, in aperta discussione e conflittualità tra modelli superati e nuove concezioni sul senso della paternità?
Molti genitori attribuiscono aspettative elevate al figlio, elargendo eccessiva considerazione a personalità troppo fragili per la loro età: feste e doni esagerati alla minima occasione, complimenti fuori posto per successi scolastici che rientrano nella più scontata normalità di apprendimento, il cui errore di fondo è nell’eccessiva precocità. A tutto ciò si aggiungono altre forme comportamentali ancor più inadeguate a fronte alle attività sportive, musicali e d’altro genere a cui vengono sottoposti i bambini.
“Mio figlio è un fenomeno: mi ammazzo di lavoro per non fargli mancare niente, però lui mi ripaga con tante soddisfazioni”. Ma guardiamoli questi figli ‘privilegiati’ e meritevoli, inseriti in programmi fitti di attività tutte da svolgere al meglio per ripagare la fiducia, la spesa e l’impresa, per non deludere, per non essere da meno, da meno di nessuno in generale, per non far sfigurare chi investe su di lui a mani piene, a mani stracolme, senza ritegno, senza rispetto per la sua dignità in erba. Figli carichi come ciuchini, che tali non sono e si spera che mai lo diventino, tanto per assecondare il mondo che va come va: Risultano perciò imprevedibili modalità arcaiche d’opposizione, come il rifiuto del cibo o una specifica pretesa in merito, così come per un sofisticato abbigliamento, fino allo squilibrio del sonno, all’ipercinesia, al mancato controllo sfinterico.
Commenti e interrogativi: vogliamo figli o vogliamo campioni? e fino a che punto si può tirare la corda?
“A mandare i bambini in palestra c’è un grosso pericolo”, informa il Dottor De Angelis, cultore della medicina tradizionale cinese. “Prima dei quattordici, quindici anni d’età, i canali energetici non sono ancora compiuti, si rischia di stimolare l’aggressività anziché la socializzazione. Sport come il judo si fanno quando si è sviluppato il rene e si sono consolidate le ossa”.
“È un attentato delle istituzioni”, rincara Carella. E rilascia la seguente dichiarazione: “È un vero e proprio attentato alla salute infantile indurre i bambini talvolta fin dall’età di cinque anni ad allenamenti sfibranti che non trovano adeguata la loro evoluzione psico-fisica e così esplicitamente il sistema cardiocircolatorio”. Silenzio, mentre si riflette sulla pesante affermazione che coglie un po’ tutti alla sprovvista. C’è molto, molto da riflettere, sulla sana attività motoria dei bambini e reali possibilità consentite che non presentino rischi di incompetenza o di lucro o di moda.
Coffee Break, per riprendere fiato.
Maria lanciotti
(2 – continua)