Firenze, 17/06/2021 – Quand’ero alla scuola elementare e poi media e ci facevano, in alcune occasioni ufficiali, cantare in gruppo l’inno di Mameli, ero sempre perplesso. Per le parole, per la melodia: erano estranee alla vita di un ragazzo che ascoltava e cantava tutt’altra musica e, a differenza di quanto accadeva a scuola, quando era con amici intonava tutt’altre melodie che non gli inni (di parte, di ricorrenza, religiosi, etc.) e tra queste, strimpellando alla chitarra, anche la fresca, melodiosa e “giovane” Bella ciao (qualcuno ha mai visto un gruppo di ragazzi, e non solo, che alla chitarra intona il Mameli?). Ovviamente questa perplessità, al liceo – con la consapevolezza di chi, come e quando aveva usato questo inno nel passato (glorificazione di morte, sofferenze, guerre, fascismi) – ...questa perplessità si è trasformata in avversione e, una volta all’università, in rassegnazione: si può anche vivere con un inno del genere, anche perché in altri Paesi non è che siano tanto differenti (a parte il fascino eterno della Marsigliese, pur sempre una marcetta antica).
Nella vita post scolastica, mi è sempre rimasto il dubbio: ma perché l’inno in cui dovremmo tutti riconoscerci per essere fieri di appartenere a questo Paese (quando giro per il mondo non mi vergogno di essere italiano) deve essere così vecchio, pomposo, sovrabbondante di retorica, una di quelle marcette da sfottò? In seguito ho registrato rassegnazione e adeguamento da parte di molti, anche coloro che, col sol dell’avvenire (altra retorica), hanno deciso di affiancarlo, in tutto ciò che aveva un minimo di ufficialità, alle loro altrettante brutte marcette.
Alcuni dicono che l’inno di Mameli è la nostra storia.* È probabile che sia così per coloro che, per esempio, non hanno mai voluto chiudere col nostro tragico passato (quanti regi decreti sono... in corso, i codici di vario tipo…), e di cui sono evidenti le conseguenze.
Oggi se chiedo a mia figlia adolescente cosa ne pensa dell’inno di Mameli, mi fa un sorriso di commiserazione, fa spallucce e si rimette le cuffiette per ascoltare tutt’altro che Mameli. Ho l’impressione che sia un comportamento diffuso.
Ora al Mameli si vuole affiancare, soprattutto per la festa della Liberazione del 25 aprile, la canzone Bella ciao. A parte alcuni fascisti di varia tacca moderna che hanno levato gli scudi, si registra indifferenza. È evidente che, pur se non si parla di mandare in pensione il Mameli, sono in tanti che non hanno ancora chiuso col nostro tragico passato fatto anche di ebrei inviati nei campi di sterminio nazista.
Ben venga, casomai, Bella ciao. Ma non basta. Occorre scrivere e cantare la nostra storia repubblicana per chiudere con il passato. Occorre mandare in pensione il Mameli.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
* » Wikipedia.
Illustrazione.
Il nostro inno, più lo sento, più mi sembra brutto. Parole datate, retorica a fiumi, musica da festa della porchetta. Mi chiedo: che cosa aspettiamo a cambiarlo. Sì, è vero che ci rappresenta, ma... In ogni caso, l'importante è vincere. (Massimo Malgesini, Fb 03/07/2021)