Tra le rassegne di film che sono allestite dalle piattaforme digitali, ne voglio segnalare una, tra le più belle, dedicata a uno dei maestri della storia del cinema, il giapponese Yasujirō Ozu. La si trova sulla piattaforma MUBI, dove si è arricchita questo mese di un nuovo titolo, una commedia, Buongiorno, del 1959.
Si sa che una qualità dei film cosiddetti “classici” è di non risultare datati. Anche se descrivono, come in questo caso, una società storicamente, oltreché geograficamente e culturalmente, lontana dalla nostra, il punto di vista da cui tale società è raccontata, si dimostra ancora attuale, nel senso che il problema che è in essa individuato appare come un problema anche ai giorni nostri: il tempo trascorso non lo ha cancellato o minimizzato, semmai lo ha esteso, ingigantito. E va ascritto a merito di Ozu di avere individuato i primi sintomi di un male che si è poi aggravato.
Il film si svolge per intero in un quartiere periferico, un piccolo agglomerato di case, in legno, povere, ma anche sempre pulite e ordinate. L’armonia degli interni permea anche di regola i rapporti tra i loro abitanti, e non solo all’interno delle singole famiglie ma anche tra i vicini di casa: un’armonia fatta certo di formalismo, ma anche di senso del dovere, di rispetto reciproco, di attenzioni premurose. Un’armonia che però rischia di infrangersi ai primi segni del benessere, di cui nel racconto sono emblemi gli elettrodomestici che fanno ingresso anche nelle case più umili. Ecco allora che l’acquisto di una lavatrice fa crescere un sospetto tra le vicine della vicepresidente di un’associazione femminile: il sospetto che abbia devoluto le quote associative per procurarsi quell’utensile.
Ma la storia principale del film riguarda piuttosto un televisore, acquistato nella casa di certi nuovi vicini e che costituisce la grande attrazione tra i bambini del quartiere, che trascurano i compiti a casa o le lezioni di Inglese per assistere sul piccolo schermo alle lotte di sumo.
E due di costoro, due fratellini, ingaggeranno una piccola guerra contro la propria famiglia, principalmente attraverso l’arma dello sciopero della parola, per costringere i genitori ad acquistare un televisore anche loro, in polemica con le remore del padre convinto che quell’invenzione trasformerà i giapponesi in una massa di idioti.
Il racconto di Ozu non è ideologico. I due bambini non fanno certo la figura di due degenerati, mantenendo nella loro ingenua lotta una grazia infantile. E se il fratellino minore, più irruento e sprovveduto, appare a volte buffo, l’altro, più saggio e più paziente, sembra avvolto da quella serenità lunare che emana da certi visi orientali.
E tuttavia queste figure di bambini chiuse in un silenzio ostile rispetto al mondo degli adulti, così attratti dalle nuove tecnologie da anteporle alla scuola e agli affetti familiari, possono richiamare, come per una profezia, tanti giovani contemporanei ipnotizzati, forse come “drogati”, dalle nuove tecnologie di oggi.
È una trasformazione di cui Ozu avvertiva chiaramente la negatività, e insieme la fatalità. Ma trattandosi di un fenomeno appena incipiente, la sua inquietudine non comprometteva il suo buonumore, che scorre per tutto il film, che è appunto una commedia e che sfocia in un lieto fine.
Buongiorno è un bell’esempio di un cinema “antropomorfico”, un cinema cioè in cui il principale elemento di interesse sono le espressioni, gli atteggiamenti e i comportamenti dei personaggi.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 19 giugno 2021
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