Suddivisa in otto sezioni, la raccolta di Maria Luigia Chiosi è un alternarsi di ombra e luce, ma prevale l’ombra. La luce affiora soltanto a portare un attimo di respiro... La sofferenza non è filtrata, bensì scaturisce piena e incontrollata come un grido, l’invocazione al Cielo nasce immediata. O il rimprovero, perché le tragedie che si sono abbattute sull’umanità e continuano ancora, mostrano l’assenza di uno sguardo dall’alto: “Cosa sono nelle tue mani?/ Un granello di sabbia/ dentro la bufera/ Dio… Non ti vedo!”
Il dolore si estende alle vittime del passato ed a quelle di oggi, diverse la cause ma non lo sgomento e l’incredulità. Persone portate via nei treni della morte, divenute fumo nei lager, “uccisa e tramutata in fumo/ per non lasciare memoria/ sulla terra”; giovani donne trasformate in carne da macello nelle mani dei violenti. Continuo e inquietante come una sirena nella notte è il recupero dello sterminio dei campi di concentramento.
Ma si dà voce anche alla guerra che ha lacerato i paesi oltre l’Adriatico in un passato non lontano: “Una ferita insiste tra le sponde/ sul fiume galleggiano bufere/ urlano le case arse dal fuoco”. Quello delle madri sembra la sintesi del dolore universale, di “tutte le madri che hanno pianto il figlio”, quando si interrompe il “ponte che lega/ il passato al futuro”, quando “è venuto il giorno maledetto/ Dio si è scordato degli uomini/ la grandine ha bucato ogni raccolto/ l’upupa del bosco ha ululato/ come lupo per fame/ il fumo è ritornato dal camino/ per annerire il rame”. Eppure la vita continua a premere, anche nella violenza subita da donne che ora “amano tremando il frutto non voluto”.
Storia di oggi invece sono i camion carichi di morte che trascorrono per le strade infette di Covid. Giorni in cui “guardiamo sgomenti/ solo attraverso il vetro/ di una finestra chiusa” mentre “lontano dalla riva/ intanto/ un camion passa lento/ su strade silenziose/ trasportando un carico/ di morte”.
L’esperienza soggettiva diventa testimonianza, in un passaggio sul limite dell’altrove, in una solitudine surreale e drammatica: “Non parlo/ la gola è un ingorgo di tubi/ di lacrime calde e gonfiore …non sento/ che il sangue e il silenzio”. Resta la ferrea volontà di aggrapparsi alla vita, aiutata dal pensiero delle persone amate: “ma grido la voglia/ di vivere ancora…/ e sono pensiero,/ parola”.
La parola della Chiosi non dimentica nessuna forma di dolere umano e di sopraffazione, in un crescendo di tensione che nemmeno le pause di luce riescono a sciogliere, nemmeno alcuni scorci di vacanze luminose e vitali che irrompono in mezzo al buio: “Erice si riposa sopra il monte/ distesa come un gatto/ sotto il velluto caldo/ dell’estate”, quando “la donna si offre allora/ al bacio del suo sposo/ e se il gelsomino esala/ una proposta audace/ i sensi si fanno attenti e tesi”.
Venezia, città di nascita della scrittrice che da molti anni vive a Mestre, è protagonista di aperture serene: sono immagini di bimbi chiassosi nelle calli, di artigiani operosi, insieme alle voci delle donne, allo sciabordio dell’acqua e al colore dei tramonti. Il ricordo di una vita semplice ed autentica viene a conforto ma si carica di nostalgia, con la consapevolezza di gesti che non si possono recuperare: “oro lucente pioveva a mezzogiorno/ sulle teste delle donne intente/ al ricamo sopra il tombolo”. Oggi che “la cupidigia e il malaffare” hanno calpestato Venezia, quando, “creata dai giusti/ sta morendo per avidità di stolti”, ora “la nostalgia di quel tempo finito/ cammina sola nelle calli vuote”.
Tuttavia anche Venezia porta nella storia personale quasi un monito ed un presagio: “Dal molo il leone scrutava il cielo/ e ruggiva al falco carico di bombe/ che oltre la nebbia scendeva/ in cerca della preda”. Allora “Mia madre ed io, tra due fuochi,/ stavamo inerti, sbigottite e mute”.
In mezzo a tanta sofferenza resta scolpita l’immagine del Santo Padre, che in quella sera piovosa di marzo del 2020 avanzava solo: “Saliva verso DIO che lo accoglieva/ e nel silenzio della piazza vuota/ sentiva il pianto dell’uomo”. Intercessore tra l’umanità sofferente e il Cielo, “il figlio chiamava il Padre ad alta voce/ ed era tuono che scuoteva il cielo./ Era la fede che prendeva forza/ e si alzava oltre i vincoli del suolo”.
Rimane il sogno di un mondo di pace, lontano purtroppo a calare sulle genti.
Marisa Cecchetti
Maria Luigia Chiosi, Dopo la marea dei giorni
Biblioteca dei Leoni, 2021, pp. 136, € 12,00