Maria Lanciotti
Il Villaggio di Gennaro
Edizioni Controluce, 2016
Ci sono testi che incutono paura. Appare quantomeno singolare iniziare in questa maniera la postfazione di un’opera dal titolo così familiare, Il villaggio di Gennaro, eppure a volte anche una pacata pièce teatrale, pronta per una immediata e si spera imminente rappresentazione, oppure addirittura per una serena lettura in salotto, può in qualche modo rivelarsi un’esperienza destabilizzante. (...)
Il Villaggio di Gennaro non nasce all’improvviso in una di queste serate invernali. Si tratta di un’idea lasciata riposare per anni e anni nella mente di un talentuoso artigiano, afflitto e logorato da una società che non lascia scampo alla libera iniziativa e il cui unico interesse sembrerebbe quello di privare l’uomo di ogni forma di originalità.
“Finalità del progetto”, espone con fierezza Gennaro, “la costituzione di un polo per valorizzare e consolidare l’attività artigianale italiana in tutti i suoi aspetti: dal servizio al pubblico, tramite esposizione e vendita di prodotti artigianali, al deposito, alla consulenza, all’apprendistato, alla copertura previdenziale”.
Un consorzio artigianale in grande stile, dunque, già provvisto di capitale sociale e che necessita soltanto di una vasta area per la sua realizzazione. Certo, un’idea che può sembrare semplice ma che deve essere frutto di una mente complessa visto che come si legge nel prosieguo della storia potrebbe diventare un fiore all’occhiello nel campo della produzione nostrana, dotato di tutti gli strumenti e i comfort necessari.
Lo scorrere degli eventi è abbastanza lineare: Gennaro vuole creare la sua comunità, incontra svariate figure sul suo cammino, ancora una volta si rende conto della vacuità dell’umana condizione. Un po’ attempato, con un bel caratteraccio, lunatico, testardo fino all’osso ma allo stesso tempo sensibile sognatore e ancora deciso a vivere il mondo con gli occhi di un bambino. Questo è il nostro Gennaro.
Tra gli altri personaggi della rassegna, citiamo Aladdin, un medico immigrato ridotto a venditore ambulante, e Daniele, concertista classico e cantastorie per scelta. I tre, affiancati da un coro di simpatici e volenterosi sostenitori, si adopereranno con tutti i mezzi pur di tramutare in realtà il sogno di Gennaro, che potrebbe veramente rivelarsi una svolta in questi anni di crisi. Ed ecco che alla terza ed ultima scena il ritmo diviene all’improvviso serrato, i dialoghi si fanno “taglienti” e l’ipocrisia sociale si “incarna” nel personaggio istituzionale di turno.
Lo spazio concesso in questa sede non consente di approfondire alcuni punti che non ritengo peraltro essenziali ai fini di un primo approccio alla lettura, come ad esempio la sequela di sentite idee politiche che ogni tanto fanno “capolino” tra i pensieri dei personaggi (idee a cui ognuno di loro si aggrappa come fossero un baluardo per un avvenire più giusto), e anche l’excursus autobiografico di Gennaro, tematiche che in ogni caso appaiono lampanti man mano che ci si immerge nel nostro villaggio.
Ulteriore “chicca” della narrazione, l’assenza quasi totale di tecnologia. È un fatto singolare che non deve sfuggirci. Ritengo che non si tratti di una scelta casuale, quella di ritrarre scene di vita “contemporanee” privandole però dell’asfissiante presenza di tablet, applicazioni e social network. Forse è un ulteriore accenno allo stato particolare del gruppetto dei protagonisti, fra gli ultimi sognatori di un’Italia (o forse dovremmo dire un’Europa) oppressa dal potere del materialismo.
Bene, ritengo siano questi gli elementi necessari per non fare la figura degli sprovveduti quando, trascinati dalla prosa ‘leggera’ di Maria, si arriva ad un certo punto in cui l’amarezza prende il sopravvento. Ma amarezza per cosa? In particolare per il contesto sociale a cui ho già accennato, un contesto di promesse inesaudite e di un continuo sfoggio di falsità, che accomuna i vari strati della popolazione, in particolar modo quei “responsabili” che tanto potrebbero fare ma che si guardano bene dall’attuare qualsiasi modifica alla ‘comoda’ situazione preesistente.
Il mio ruolo potrebbe esaurirsi così, nell’aver delineato la sensazione provata quando le continue tensioni all’integrazione e a un’umanità votata alla pace sembrerebbero rivelarsi sul finale fioche fiammelle che ardono in pochi cuori, schiacciati dalla burocrazia e dal servilismo.
Ma sarà a questo punto che scatterà l’imprevisto, lo scarto inatteso che infine rimetterà in gioco l’intera partita. E l’amarezza acquisterà il sapore della sfida con l’ennesimo rilancio.
Di questo tratta il testo di Maria.
Un testo che incute e insieme allontana la paura.
Perché, alla fine, in ognuno di noi c’è un po’ di Gennaro… peccato che non ce ne sia abbastanza.
Edoardo Baietti
(da Roma-artigiana.it, 20/12/2016)
Illustrazioni. Presentazione/evento e dibattito alla Biblioteca Attiva in Ariccia (Roma) nel dicembre 2016, a cura della Compagnia teatrale X-Pression con la regia di Christine Hamp. Installazione della scultura in cartone del Maestro Sergio Gotti. Intervento di Genesio Antoniello musicista/artigiano e il suo handpan.