Lavinia Fontana nasce a Bologna nel 1552. Apprende i primi rudimenti dell’arte dal padre, Prospero Fontana, pittore di successo che aveva lavorato anche a Roma e a Firenze. Fin dall’infanzia Lavinia può ammirare dal vero i capolavori di Raffaello e Parmigianino, ha accesso a importanti collezioni e conosce personalmente i protagonisti della scena artistica del tempo.
Seppure la produzione di Lavinia spazi tra i più vari soggetti – tra i quali anche quello religioso, che le donne assai raramente avevano l’onore di poter dipingere – il genere che l’ha resa celebre è quello del ritratto femminile. Lavinia è abile nel ritrarre le gentildonne del tempo in modo aggraziato e lusinghiero per il soggetto. Ama rappresentare i propri modelli in pose naturali, raffigurandoli mentre fanno qualcosa: mentre leggono un libro o mentre accarezzano un cane un cliché, quest’ultimo, assai fortunato che la pittrice eseguirà in più versioni, con grande successo. Si osservi, per esempio, il ritratto, il Ritratto di dama con cagnolino, conservato alla Walters Art Gallery di Baltimora o quello, dallo stesso titolo, del National Museum of Women in the Arts di Washinton. Lavinia imposta questo tipo di ritratti su un preciso modello di composizione: il busto girato di tre quarti, la mano destra allungata verso il cagnolino, quella sinistra che tiene un oggetto (una stola o un fazzoletto, a seconda delle occasioni). L’espressione delle donne è pensierosa e assorta, lo sguardo quasi assente, perso in chissà quali pensieri. Gli abiti sono ricchi, descritti con attenzione. La pittrice ama soffermarsi sulle stoffe, i pizzi, i gioielli, le acconciature… creando immagini di sicuro effetto che riscuotono ampio successo, diffondendo il nome di Lavinia ben al di là dei confini della propria città natale.
Lavinia riceve molte proposte di matrimonio ma decide di accettare quella di Gian Paolo Zuppi, un alunno del padre che non esita a trascurare la propria carriera per gestire gli affari e seguire le committenze della moglie. Nel contratto di matrimonio d’altronde, il padre aveva posto come condizione che Lavinia potesse continuare a dipingere anche dopo le nozze. La coppia, secondo il costume del tempo, continua a vivere presso la casa della famiglia della sposa e a lavorare nella bottega di Prospero. Alla morte del padre Lavinia, ormai celebre in tutta Italia, decide di trasferirsi a Roma portando con sé tutta la famiglia – composta da undici figli, solo tre dei quali sopravviveranno. Nella città capitolina, Lavinia diventa pittrice di corte e ha l’onore di essere membro dell’Accademia. Tale è la fama raggiunta che nel 1611 viene coniata in suo onore una medaglia che rappresenta, su una faccia, l’artista al lavoro e sull’altra il suo profilo. I suoi committenti sono aristocratici, rappresentanti dell’alto clero, professori. Abilissimi a curare i rapporti sociali, Lavinia e il marito gestiscono la bottega come una proficua azienda famigliare, badando a muovere le pedine giuste, stringendo rapporti di amicizia con le persone che contano, frequentando l’alta società. Protetta prima dal padre e in seguito dal marito, Lavinia propone di sé un’immagine degna della gentildonna ideale decantata da Castiglione: colta, attenta a ostentare una falsa modestia, “timorata di Dio e di onestissima vita” e “di belli costumi” come descrive Severo Zuppi, in una lettera del 1577. Con rare eccezioni, Lavinia è lodata e incensata: Lucia Faberio, nella sua Orazione funebre per Agostino Carracci, trova una legittimazione del suo ruolo di pittrice donna nel paragonarla alle grandi artiste dell’antichità: Malvasia racconta come venisse accolta ovunque come una principessa: persino l’ambasciatore del re di Persia, invaghitosi della pittrice, la blandisce con lusingante madrigale a lei dedicato.
Lavinia morirà nel 1614, a Roma.
M.P.F.