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Luciano Angelini. A Dante nell’anniversario della morte
Ritratto a pastello di Angel (Adriano Angelini)
Ritratto a pastello di Angel (Adriano Angelini) 
02 Aprile 2021
 

Da molte stelle mi vien questa luce1 

 

 

700 anni fa nel 1321 nella notte tra il 13 e il 14 settembre moriva all’età di 56 anni in Ravenna il sommo poeta Dante:

colui che per lo verso

Il meonio cantor non è più solo       (vv. 21-22)

 

O dell’etrusco metro inclito padre     (v. 74)

 

[Da Sopra il Monumento di Dante che si preparava in Firenze, Leopardi]

 

Dante (1265-1321) di mediocre statura, alquanto curvetto, l’andare grave e mansueto, d’onestissimo panni sempre vestito, il volto lungo, il naso aquilino, gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato, il colore era bruno, i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.

Ne’ costumi domestici e pubblici mirabilmente ordinato e composto, e in tutti più che alcuno altro cortese e civile.

Nel cibo e nel poto modestissimo.

Rade volte, se non domandato, parlava; là dove si richiedeva, eloquentissimo e facundo.

Ferventemente ad amor sottoposto. Questo amore è ferma credenza di tutti che fosse movitore del suo ingegno. Con l’età moltiplicarono l’amorose fiamme, intanto che niuna altra cosa gli era piacere o riposo o conforto, se non il vedere Beatrice. Per la qual cosa, ogni altro affare lasciandone, sollecitissimo andava là dovunque credeva potere vederla, quasi dal viso e dagli occhi di lei dovesse attignere ogni suo bene e intera consolazione. Quali e quanti fossero li pensieri, li sospiri, le lagrime e l’altre passioni gravissime poi in più provetta età da lui sostenute per questo amore, egli medesimo in parte il dimostra nella sua Vita nova.

Ebbe fierissima e importabile passione d’amore, moglie, cura familiare, esilio e povertà.

Dilettossi d’essere solitario e rimoto dalle genti.

Ne’ suoi studi fu assiduissimo.

Filosofo, teologo e poeta di maravigliosa capacità e di memoria fermissima, e di perspicace intelletto.

D’altissimo ingegno e di sottile invenzione.

Oltre ad ogni altro suo studio amava la poesia.

D’animo alto e disdegnoso molto. Nel grembo della filosofia nutricato!

Tra cotanta virtù, tra cotanta scienza, trovò ampissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi.

[Da il Trattatello in Laude di Dante di Boccaccio]

Opere. Primieramente, duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice, quasi nel suo ventesimo sesto anno, Dante compose la Vita nova, un volumetto di canzoni e sonetti; di sopra ciascuno scrivendo le cagioni che a quelli fare l’avean mosso.

Nel suo trentacinquesimo anno cominciò a scrivere in rima volgare la Commedia, a così alto lavorio si diede infino allo stremo della sua vita. Mentre che egli era più attento al glorioso lavoro, sopravvenne il gravoso accidente della sua cacciata da Firenze o fuga che chiamar si convegna.

Nella venuta d’Arrigo VII imperatore scrisse un libro in prosa latina, Monarchia, diviso in tre libri: nel primo, loicalmente disputando, pruova che a ben essere del mondo sia di necessità essere imperio; nel secondo, per argomenti istoriografici, mostra Roma di ragione ottenere il titolo dello imperio; nel terzo, per argomenti teologici pruova l’autorità dello ‘mperio immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcuno vicario, come li chierici pare che vogliano.

Compose due egloghe per risposta a Giovanni del Virgilio di certi suoi versi mandatigli.

Compose il Convivio, uno commento in prosa in fiorentino volgare sopra tre delle sue canzoni.

Già vicino alla morte compose De vulgari eloquentia, un libretto in prosa latina, dove intendea di dare dottrina, a chi imprendere la volesse, del dire in rima.

Fece poi molte pistole prosaice in latino. Compose molte canzoni distese, sonetti e ballate assai d’amore e morali, oltre a quelle che nella sua Vita nova appariscono.

[Da il Trattatello in Laude di Dante di Boccaccio]

 

La Divina Commedia2 

A riveder Beatrice in Paradiso

 

Il capolavoro di Dante è un poema didattico allegorico sulla salvezza umana, scritto in terzine incatenate di endecasillabi in lingua volgare fiorentina. Il poema è diviso in tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso, ognuna delle quali è composta da 33 canti con l'Inferno che ha in più un canto proemiale. È universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi, fondamentale anche per chi vuol conoscere la civiltà medievale, oltre che un coraggioso atto d’accusa contro la corruzione del clero e gli abusi del potere.

Racconta il viaggio di Dante nei tre regni dell’Oltretomba, guidato dapprima dal poeta Virgilio attraverso l’Inferno e il Purgatorio, e poi da Beatrice nel Paradiso.3

Il poema è un grandioso affresco ‘michelangiolesco’ dei vizi e delle virtù dell’umanità e presenta una vasta galleria di personaggi tanto magistralmente scolpiti da sembrare vivi: Virgilio; Paolo e Francesca, Pier delle Vigne, Farinata degli Uberti, il Conte Ugolino; Catone, Pia de’ Tolomei, Marco Lombardo; Stazio, Beatrice, l’Imperatore Giustiniano, San Tommaso d’Aquino, San Francesco, San Domenico, Vergine Maria etc. etc.; ma è anche e soprattutto il cammino di purificazione e d’elevazione spirituale e religiosa dell’uomo Dante e che vuole essere paradigmatico di tutta l’umanità, tanto che la Divina Commedia si potrebbe anche titolare Danteide o Umaneide.

Il sommo poeta, quando Beatrice, la donna amata e musa, era già morta, nella fine della sua opera giovanile la Vita Nova, scrive: Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedecta infino a tanto che io potessi più degnamente tractare di lei. E di venire a cciò io studio quanto posso, sì com’ella sae, veracemente. Sì che, se piacere sarà di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero così di dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi piaccia a colui che è sire della cortesia che la mia anima sen possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedecta Beatrice, la quale gloriosamente mira nella faccia di Colui «qui est per omia secula benedictus».4 E come disse Boccaccio “[la Comedìa] assai meravigliosamente l’onora”.

È, dunque, l’amore per Beatrice a indurre Dante a scrivere il suo meraviglioso viaggio dagli Inferi al Cielo ed è solo per lei che Dante trova la forza d’intraprendere il cammino di salvezza dalla selva oscura alla Visione di Amor che move il sole e l’altre stelle.

 

* * *

Brevissimo excursus nella Divina Commedia

[…] “poi in questo mirifico poeta trovò amplissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi.”5

Inferno

 

Dante:                     Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
6

Beatrice a Virgilio:      O anima cortese mantoana,

di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana,

 

l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volt’è per paura;

 

e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.

 

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ha mestieri al suo campare
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.

 

I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.
7

 

Virgilio a Dante:         Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?
8

 

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno,
9

 

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
10

 

Ulisse:                      Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.11

                         *

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

 

Purgatorio

 

La sete natural12 che mai non sazia
se non con l’acqua
13 onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,

 

mi travagliava, ()14


Beatrice:                  Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.

Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui è l'uom felice?
15

 

Dante si vergogna alla vista di Beatrice:

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.
16

Beatrice spiega il perché del rimprovero a Dante:

questi fu tal ne la sua vita nova
virtualmente, ch’ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.

 

Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa ‘l terren col mal seme e non cólto,
quant’elli ha più di buon vigor terrestro.

 

Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.

 

Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.

 

Quando di carne a spirto era salita
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
fu’ io a lui men cara e men gradita;

 

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.

 

Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai; sì poco a lui ne calse!

 

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.

 

Per questo visitai l’uscio d’i morti
e a colui che l’ha qua sù condotto,
li prieghi miei, piangendo, furon porti.
17

                          *

puro e disposto a salire a le stelle.


Paradiso

 

Io non m’accorsi del salire in ella;
ma d’esservi entro mi fé assai fede
la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
18

Nell’addio Dante rivolge a Beatrice una preghiera di lode e di ringraziamento, e conclude affidandole l’anima:

«O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,

 

di tante cose quant’i’ ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.

 

Tu m’hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt’i modi
che di ciò fare avei la potestate.

 

La tua magnificenza in me custodi,
sì che l’anima mia, che fatt’hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».

 

Così orai; e quella, sì lontana
come parea,
sorrise e riguardommi;
poi si tornò a l’etterna fontana.
19

Il sommo poeta, fra tanto altro, ci dice che non è con la ragione umana, in quanto capacità limitata,20 che noi possiamo conoscere la Verità assoluta e ottenere la beatitudine, ma solo con la fede e la grazia divina; e ci dice anche che è solo con l’intuizione e l’estasi mistica che possiamo godere della Visione di Dio o del Tutt’Uno legato con amore:

Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:

 

sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch'i' dico è un semplice lume.

 

La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
21

                          *

Amor che move il sole e l’altre stelle

 

* * *

La Divina Commedia e il pavone

Delle penne del paone la peregrina istoria ha la bellezza; distinta in cento canti, sì come alcuni vogliono il paone avere nella coda cento occhi; ha i piè sozzi e l’andatura queta del paone, le quali cose alla Comedia si confanno, perciocché, sì come sopra i piedi pare che tutto il corpo si sostenga, così prima facie pare che sopra il modo del parlare ogni opera in iscrittura composta si sostenga; e il parlare volgare, a rispetto dell’alto e maestrevole stilo letterale che usa ciascun altro poeta, è sozzo. L’andar queto significa l’umiltà dello stilo. La voce del paone è orribile, chi più orribilmente grida di lui, quando con invenzione acerbissima morde le colpe di molti viventi, e quelle de’ preteriti (trapassati, morti) gastiga? Qual voce è più orrida che quella del castigante a colui ch’è disposto a peccare?

[Boccaccio, da il Trattatello in Laude di Dante]

 

Dello stile

Perché lo stile di Dante è il più forte che mai si possa concepire e per questa parte il più bello e dilettevole possibile? Perché ogni parola presso lui è un’immagine etc. etc.

Ovidio descrive, Virgilio dipinge, Dante, a parlar con proprietà, non solo dipinge da maestro in due colpi e vi fa una figura con un tratto di pennello, non solo dipinge senza descrivere (come fa anche Virgilio e Omero), ma intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore le proprie idee, concetti, immagini, sentimenti. (29 giugno 1822). [Leopardi, da lo Zibaldone]

 

Sonetto di John Keats, di cui ricorre il bicentenario della morte, sul quinto canto dell’Inferno.

Dalla lettera di John Keats al fratello e alla sorella George e Georgiana, Domenica matt. 14 febbraio - Lunedì 3 maggio 1819:

«Il quinto canto di Dante mi piace sempre più, è quello di Paolo e Francesca. Ho passato molti giorni in uno stato di grande depressione, e una notte ho sognato di essere in quella regione dell’Inferno. Quel sogno è stato una delle gioie più grandi della mia vita. Galleggiavo nell’aria proprio come nella descrizione di Dante, preso in un vortice insieme con una splendida figura alle cui labbra le mie erano unite sembrava da sempre. Nel mezzo di tutto questo freddo e di questa tenebra io bruciavo. C’erano delle cime di alberi fiorite e noi ci posavamo di tanto in tanto su di esse con la leggerezza di una nuvola finché il vento non ci spingeva via di nuovo; ho provato a scrivere un sonetto22 su questo sogno – ecco i quattordici versi ma non c’è niente di quello che ho sentito; oh, se potessi avere quel sogno tutte le notti».

 

A Dream, after reading Dante’s Episode
of Paulo and Francesca
As Hermes
23 once took to his feathers light,
When lulled Argus, baffled, swoon’d and slept,
So on a Delphic reed, my idle spright
So play’d, so charm’d, so conquer’d, so bereft
The dragon-world of all its hundred eyes;
And, seeing it asleep, so fled away —
Not to pure Ida with its snow-cold skies,
Nor unto Tempe where Jove griev’d a day;
But to that second circle of sad hell,
Where ‘mid the gust, the whirlwind, and the flaw
Of rain and hail-stones, lovers need not to tell
Their sorrows. Pale were the sweet lips I saw,
Pale were the lips I kiss’d, and fair the form
I floated with, about melancholy storm.
24

 

Luciano Angelini

 

 

1 Par. XXV, 70.

2 Comedìa. L’aggettivo divina gli fu dato da Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362.

3 Virgilio rappresenta la ragione naturale dei filosofi, mentre Beatrice la teologia rivelata e la grazia santificante.

4 Dante, Vita Nova, 31, Mondadori, Oscar classici.

5 Boccaccio, da Trattatello in Laude di Dante.

6 Inf. I, 1-3.

7 Inf. II, 58-72.

8 Inf. I, 76-78.

9 Inf. I, 112-114.

10 Inf. III, 22-24.

11 Inf. XXVI, 118-120.

12 La sete di sapere.

13 Della verità.

14 Pur. XXI, 1-4.

15 Pur. XXX, 73-75.

16 Pur. XXX, 76-78.

17 Pur. XXX,115-141.

18 Par. VIII, 12-15.

19 Par. XXXI,79-93.

20 Pur. III 34-36:   matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrere la infinita via
che tiene una sostanza in tre persone.

21 Par. XXXIII, 85-93.

22 Un sonetto shakespeariano: 14 versi di pentametri giambici, suddivisi in tre quartine che rimano abab cdcd efef e un distico finale a rima baciata gg.

23 Ermes messaggero degli Dei, veloce più del vento cogli alati calzari. Un mito relativo ad Ermes è l’incarico datogli di liberare Io, amata da Zeus, di cui Era gelosa aveva trasformata in vacca e data a custodire ad Argo dai cent’occhi. Ermes dopo averlo ammaliato al suono della lira, uccise Argo. (Mitologia, le garzantine, Garzanti)

24 Un Sogno, dopo aver letto l’episodio di Paolo e Francesca
Come Ermes quella volta che indossò gli alati calzari,
Quando acquietò, ammaliò, stordì e addormentò Argo
Al suono d’una Delfica siringa, così il mio spirito indolente
Suonò, incantò, conquistò, accecò
Di tutti i suoi cento occhi il drago del mondo;
E così, vedendolo addormentato, volò via —
Non al candido Ida coi suoi cieli freddi di neve,
Né in Tempe dove Giove si rattristò un giorno;
Ma a quel secondo girone del triste inferno,
Dove in mezzo alle raffiche di vento, al turbine e allo scroscio
Di pioggia e grandine, gli amanti non hanno bisogno di raccontare
I loro affanni. Pallidi erano le dolci labbra ch’io vidi,
Pallide erano le labbra ch’io baciai, e bella la figura
Con la quale fluttuai, in quella malinconica bufera. (Trad. di Luciano Angelini)


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