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In libreria/ Silvia Comoglio. L’ampiezza di una minima circostanza
25 Marzo 2021
 

In poco comoda attesa entro affollato ufficio postale, verificò, ancora una volta, l’esatta compilazione di rettangolare modulo (subito riposto, dato l’esito positivo dello scrupoloso controllo, entro profonda tasca).

Dopo aver riscontrato una trascurabile differenza tra l’ora indicata dall’ampio schermo a disposizione del pubblico e quella segnata dal proprio affidabile orologio da polso, attirò l’attenzione di simpatico cane bassotto trattenuto da lungo, sottile, guinzaglio: avendo mostrato di apprezzare affettuose carezze, l’obbediente quadrupede, a seguito di fermo richiamo, tornò ad accucciarsi tra gli arti inferiori di corpulento individuo indossante vistosa cravatta.

Alzato lo sguardo, osservò nuovamente luminoso pannello che offriva alla vista dei presenti, con chiara iconografia, le previsioni meteorologiche.

Ampia vetrata gli permise di notare come alle pronosticate (abbondanti) precipitazioni corrispondesse un cielo parzialmente nuvoloso: più tardi, forse, sarebbe piovuto?”

Prosa poetica o poesia in prosa, oppure contraendo i due termini, proesia. Una delle 93 che compongono Minime circostanze, l’ultimo libro di Marco Furia pubblicato dalla casa editrice Contatti nella collana diretta da Claudio Pozzani.

Un testo, questo, come tutti gli altri della raccolta, che si legge adagio, una lettura lenta indotta dalla scelta accurata di ogni parola, e dalla descrizione dettagliata, circostanziata, di ogni sguardo o gesto, di ogni spazio o oggetto. Tutto l’autore soppesa e tutto, noi, veniamo guidati a soppesare dal suo linguaggio. Si crea, leggendo, come un incantamento concreto tra il lettore e quel soggetto in terza persona che ora è alla posta, ora in strada, ora in procinto di oltrepassare un portone, sempre in dialogo continuo con il proprio sé e con gli oggetti che lo circondano. Tutto ontologicamente presente e vivo. E tutto luminosamente sostenuto, forse meglio sarebbe dire, fatto germinare dalla parola. Senza quella parola cercata con puntuale e rigorosa precisione dall’autore nessuna di queste 93 minime circostanze sarebbe. Resterebbero, queste minime circostanze, nella confusione e nel magma, non avrebbero identità e esistenza. Sarebbero fatti casuali, senza profondità, senza sentire. Senza anima. È la parola che li genera e li informa, che li innerva di concatenazioni, che ne detta il tempo e lo spazio. Che dà voce alla tasca e al bassotto, alla vetrata e a quel “più tardi, forse, sarebbe piovuto?”.

Proesia dopo proesia si scopre dunque in modo esplicito il valore della parola, il suo essere pietra d’angolo e al contempo lavorio incessante per sigillare nel tempo ogni minima circostanza. Minima? Davvero è minima ogni singola circostanza che Marco Furia sigilla con la parola e su cui vi appone il proprio di sigillo tratteggiandola con ironia o distacco ma anche sempre con empatia? L’ufficio postale, certo, come piccolo luogo in cui è capitato a tutti di trovarsi e di viverlo senza caricarlo di alcun significato, etico estetico o metafisico. Ma è proprio così? Davvero non cambia tutto se ci si mette sul versante della parola? Proviamo a farlo e osserviamo. Ufficio postale vetrata cravatta bassotto tasca. E gli aggettivi che li precedono e accompagnano: affollato ampia vistosa simpatico profonda. Ecco, se ci mettiamo sul versante della parola ogni oggetto o sguardo si intride di vita, occupa il tempo e dilata il secondo. In quel secondo la parola fa essere e convivere tutto. Ufficio postale vetrata cravatta bassotto tasca e gli aggettivi che li precedono si innestano, tutti insieme, in quell’unico secondo e lo riempiono e lo ampliano all’inverosimile. E in quel secondo anche quella minima circostanza si amplia all’inverosimile, si fa come tridimensionale e si dice in tutta la sua ampliezza. Si espande per essere e generare vita.

Situazioni in cui si potrebbe avere la sensazione che nulla accada, o di essere addirittura in perdita, si caricano così di valore e vita, e questo è dovuto, certo, alla parola ma anche all’attenzione e alla cura che l’autore ha della parola. Una cura e un’attenzione che rivelano   affetto per la parola e per ogni minima circostanza, perché se è vero che in ogni minima circostanza l’autore si pone come osservatore esterno è anche vero che quella circostanza non gli è del tutto estranea come non è del tutto estranea anche a noi che leggiamo. L’autore, e noi con lui, siamo quelle minime circostanze, sappiamo di averle vissute o che potrebbe succedere di viverle. E nella parola che le dice e sostiene sappiamo anche il peso e l’entità di quelle circostanze, sappiamo quanto possano ampliarsi e essere nel tempo e riempire il tempo, e soprattutto arriviamo a percepire quanto il tempo ci appartenga intimamente e noi a lui. 

Minime, sì, ma nel senso di essenziali perché radicate nella parola che le rende amplie e vive. Così sono le Minime circostanze di Marco Furia.

 

Silvia Comoglio

 

 

Marco Furia, Minime circostanze

Edizioni Contatti, Genova, 2021


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