Dormire in mezzo ai miei dipinti è meraviglioso. Il mio studio è molto chiaro nelle notti illuminate dalla luna. Appena mi sveglio balzo in piedi e guardo il mio lavoro: i miei dipinti sono la prima cosa che incontrano i miei occhi.
Questo senso di comunione intima con il proprio lavoro era estremamente necessario al processo creativo di Paula Modersohn Becker e risultò invece essere uno stato raramente raggiunto nel corso della sua breve vita. La giovane Paula fu scarsamente incoraggiata dalla famiglia a seguire l’arte, sebbene sua zia l’avesse invitata a studiare un anno a Londra all’età di sedici anni. Poi i suoi genitori la obbligarono a prendere il sentiero sicuro della maestra d’asilo, ma compiuti gli studi, ella ottenne di passare un anno all’Accademia d’arte a Berlino. Sfortunatamente la sua prima mostra a Brema, nel 1897, non fu molto recensita tanto che i genitori le tolsero ogni appoggio.
Poco dopo Paula sposò Otto Modersohn, un paesaggista che viveva nella comunità artistica rurale di Worpswede che Paula aveva cominciato a frequentare nel 1897. Inizialmente attirata dalla bellezza del luogo, vi installò il suo studio e iniziò a lavorare. Diventò ben presto la fedele amica della scultrice Clara Westhoff e le due giovani donne romanticamente impressionarono il poeta Rainer Maria Rilke, sebbene egli non le menzionò affatto nella sua monografia sugli artisti di Worpswede del 1903. Per ironia, la pittura di Worpswede, poco originale e sentimentale, riceve scarsa attenzione ai nostri giorni. Nei suoi diari, Paula parla ripetutamente della loro profonda amicizia e della perdita che ella subì quando Clara e Rilke si sposarono e si allontanarono sempre di più (in ogni senso) da lei.
Otto Modersohn era vedovo e molto più vecchio di Paula. Aveva una figlia giovane, Elisbeth, che passò alle cure di Paula, entrando nei suoi quadri e nei suoi diari; le occupazioni della vita domestica interferirono con il tempo che Paula doveva dedicare al suo lavoro. Il suo diario rivela l’isolamento e la disillusione che ella provò:
La mia esperienza è che la felicità non aumenta con il matrimonio. Il matrimonio fa cadere l’illusione, prima profondamente radicata, che da qualche parte ci sia un’anima gemella (Schwsterseele). Si avverte doppiamente cosa significhi non essere capiti, perché prima la vita si basava sull’ardente desiderio di trovare un altro essere, uno che potesse capire. Ma non sarebbe molto meglio senza questa illusione, faccia a faccia con la grande verità. Scrivo queste cose nel libro della spesa seduta in cucina, mentre preparo un arrosto di vitello, la domenica di Pasqua. 1922
Nonostante il genuino rispetto che suo marito aveva per il lavoro della moglie, di lei infatti scrisse nel suo diario: «È veramente una grande pittrice… ha qualcosa di molto raro. Nessuno la conosce, nessuno la sa apprezzare. Ma un giorno tutto sarà diverso»; Paula però riusciva a trovare a Worpswede (o nel matrimonio) il nutrimento per la sua arte.
Fra il 1900 e il 1907 (anno della sua morte) Paula soggiornò quattro volte a Parigi, dove assorbì l’influenza della pittura-postimpressionista in particolare dell’opera di Vincent Van Gogh, Gauguin e Cezanne. Ella contestava l’estetica prevalente del naturalismo e scriveva nel suo diario:
Credo che quando si dipinge, e soprattutto quando si concepisce un quadro, non dovrebbe essere dedicata troppa attenzione alla natura. Fare lo schizzo del colore esattamente come uno sente i colori che i colori erano in natura in quel momento. Ma quello che conta sono le mie sensazioni personali.
Voleva «esprimere le dolci vibrazioni delle cose, strutturate in se stessa. La strana qualità in attesa che traluce dagli oggetti opachi (pelle, la fronte di Otto, tessuti, fiori) che io devo sforzarmi con tutta me stessa di comunicare nella sua grande semplice bellezza».
In una lettera a Clara Rilke-Westhoff ella parlava di Cezanne come di «una delle tre o quattro forze più significative dell’arte che hanno lasciato il loro segno su di me come un forte vento o un grande avvenimento».
Come Mary Cassat, anche Paula fu molto stimolata dall’arte giapponese che ebbe modo di vedere a Parigi nel 1903, e che le rivelò ulteriormente i limiti di Worpswede e contemporaneamente le diede l’indicazione di un nuovo filone di ricerca per la sua arte. «Oggi ho visitato una mostra di pittura giapponese antica. Che grande originalità interiore in queste cose. La nostra arte mi appare ancora troppo convenzionale». Fu molto impressionata anche da una mostra di arte egiziana:
Ora avverto fortemente quanto posso imparare dalle menti antiche… Ho la sensazione che quando dipingo dal vero, dovrò incominciare a ricercare forme più singolari e sovrapposizioni di piani. Io ho un forte senso dell’intersezione e sovrapposizione delle cose. Devo lavorarci attentamente intorno e rifinirlo. Voglio disegnare di più quando ritorno a Worpswede.
Le visite a Parigi erano boccate d’aria fresca per lei, ogni volta ritornava decisa a lavorare più sodo sia alla sua arte che al suo matrimonio. Ma il compito di armonizzare le due cose era quasi impossibile ed ella sentiva la sua creatività soffocare nella limitatezza di Worpswede. In febbraio del 1906 separata dal marito, si trasferì nuovamente a Parigi: «Ora ho lasciato Otto Modersohn e sto fra la mia vecchia e la nuova vita. Come sarà quella nuova? E che cosa cambierà in quella nuova?» Paula era estasiata dalla sua nuova libertà. In maggio di quell’anno scrisse a sua sorella: «Sto vivendo il periodo più intensamente felice della mia vita».
Ma le pressioni affinché ritornasse a casa erano molto pesanti sia da parte del marito che dalla sua famiglia. La lettera che segue è un archetipo e molto verosimile sarà stata scritta da molte donne in varie versioni in periodi simili.
Mia carissima mamma, non sei adirata con me! Temevo tanto che tu fossi in collera con me. Mi avrebbe rattristato e amareggiata. Ed ora tu sei tanto buona con me, Sì, mamma, non potevo più sopportarlo e non pensare che potrò sopportarlo nuovamente. Tutto era troppo piccolo per me. Stava diventando sempre meno quello di cui avevo bisogno. Sto incominciando una nuova vita. Non intrometterti…lasciami vivere. E’ meraviglioso. La settimana scorsa ho vissuto come se fossi stata ubriaca. Penso di aver creato cose che sono valide. Non essere triste per me. Se la mia vita non mi porterà a Worpswede, non significa che gli otto anni che ho passato là non sono stati belli. Trovo che Otto sia molto commovente. Questo e il pensiero di te, rendono difficile il mio cammino. La tua bambina
E, tuttavia, Otto fu molto persuasivo, troppo (le promise lo studio più grande tutto per sé); ritornò alla vita matrimoniale e ben presto rimase incinta. Tre settimane dopo la difficile nascita di sua figlia, Paula morì improvvisamente per un collasso cardiaco. Dei 250 quadri che ella dipinse nella sua breve vita, ne vendette solo uno. Il suo stile ha affinità con l’espressionismo tedesco, ma nessuno del suo tempo capì il suo indirizzo profetico ed ella lavorò senza alcun appoggio.
I suoi temi non erano “significativi” nel senso comune del termine. Paula trovava le proprie modelle nelle case povere, di solito giovani ragazzine o vecchie; era affascinata della vita dura e dal dialetto delle contadine attorno a Worpswede. Senza paura di alcuna “deformazione” ella dipinse l’adolescenza, la gravidanza, la povertà, la vecchiaia con la stessa attenzione amorosa.
Le sue figure siedono come statue, con fiori intorno, vasi, collane, ghirlande, ornamenti per qualche festa privata di prosperità e fecondità. Queste immagini sono ricorrenti nei suoi numerosi autoritratti dallo sguardo fermo sia verso se stessa che verso l’esterno. In questi dipinti simili a icone, Paula Modersohn Beker costruisce una mitologia fatta delle pause della vita delle donne.
M.P.F.