Si legge sul Fatto Quotidiano on line del giorno 11 marzo: «Vaccino, le categorie che saltano la fila (grazie alle Regioni). Dagli avvocati ai giornalisti: ecco chi scavalca gli anziani e i fragili […].
Le “caste professionali" si sbracciano per prenotarsi un posto in prima fila a scapito di malati gravi e soggetti realmente a rischio […].
Dietro al sorpasso, manco a dirlo, le regioni e quel Titolo V che consente loro di far quel che vogliono, fino a trasformare una prestazione sanitaria salva-vita in una scelta discrezionale a favore dei più rappresentati, dei più influenti e in definitiva dei più forti. A scapito, manco a dirlo, dei più deboli che avrebbero più diritto. Uno scandalo».
Mi voglio occupare della categoria alla quale appartengo, quella degli avvocati.
È importante subito sottolineare che il problema non è tanto quello del rischio legato all’esercizio della professione. A maggior ragione nel tempo corrente, scandito prevalentemente da depositi telematici di atti giudiziari o comunque da udienze disciplinate e calendarizzate nel loro svolgimento (quando addirittura si svolgono in remoto). L’avvocato penalista però va detto ha necessità di una maggiore frequentazione di persona delle sedi giudiziarie.
Non è tanto questo il punto, né penso che quello che viene chiesto sia di creare una corsia preferenziale, a danno dei più deboli o di chi ne ha diritto.
Si tratta di chiedere alla politica che venga dato il giusto riconoscimento in linea di principio (sottolineo “di principio”) al ruolo dell’avvocato e quindi di dare risposta ad una precisa esigenza di uno Stato di diritto.
La questione rilevante è quella del diritto di difesa che è costituzionalmente garantito (art. 24 Costituzione: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) e del rapporto fiduciario che intercorre tra l’avvocato e il proprio assistito, della particolare funzione che svolge l’avvocato. In questo senso e nel caso concreto della pandemia, ha senso parlare di servizio pubblico essenziale svolto dall’avvocato e di non sostituibilità dello stesso.
Mi spiego meglio: quel cittadino ha creato nel corso degli anni un rapporto fiduciario con il proprio avvocato. Quell’avvocato - si occupi di diritto civile, penale, amministrativo è indifferente - è garanzia di difesa del cittadino e di tutela dei suoi diritti ed interessi legittimi. Questa esigenza di difesa ha dignità costituzionale. Qualsiasi questione, indipendentemente dalla sua natura o valore, merita eguale garanzia e riconoscimento, ha eguale diritto ed aspettativa di tutela.
Se l’avvocato si ammala per covid, il cittadino perde, per il tempo che sarà, la sua forma di tutela (difesa). E il rapporto fiduciario costruito in anni di rapporto professionale non può essere facilmente sostituito “in corsa”. In questo senso, lo Stato di diritto perde qualcosa in termini di valori da tutelare e di principi da far valere.
E i termini per ricorsi, citazioni, e altre iniziative giudiziarie nel processo attualmente non sono sospesi (non v’è alcuna sospensione straordinaria in corso dei termini processuali).
In questo senso, la funzione giurisdizionale (che è quella del Giudice) è imparziale, ma “impersonale”. Non deve cioè interessare al cittadino la persona del Giudice che decide sulla sua questione. Il Giudice è imparziale per legge. L’avvocato è “di parte”, cioè assicura la difesa di diritti ed interessi legittimi del cittadino nel caso concreto, in virtù di un rapporto fiduciario e personale che è spesso risalente nel tempo. All’avvocato interessa la verità processuale, accertata in un giudizio, non la verità storica.
Che l’avvocato abbia una tutela “rafforzata” del proprio diritto alla salute in questo particolare momento storico mi sembra rispondere a principi e valori di garanzia di uno Stato di diritto.
È banale ed erronea semplificazione a mio avviso sostenere che la categoria stia esercitando poteri forti e di privilegio ai danni dei fragili e dei deboli.
È fare invece legittima questione di principio ed essere lato sensu “garantisti” sostenere che la figura dell’avvocato merita non tanto una “priorità” ma un giusto riconoscimento nell’ambito del piano vaccinale, senza che questo voglia dire prevaricare ai danni di chi vanta legittimamente un diritto di tutela della propria salute (malati, anziani, categorie a rischio, etc.) che deve avere naturalmente priorità.
Sentire poi parlare di “casta”, mi dà una sensazione come di diffusa “cartavetro sulla pelle”. Io vengo da un assiduo nel tempo percorso professionale di studi e di impegno e di dedizione al lavoro. E mai (sottolineo il “mai”) ho goduto di alcun privilegio. Larghissima parte dei miei colleghi avvocati svolgono la professione con lo stesso metodo, impegno e dedizione. Se poi vi siano o meno “incrostazioni” di potere, credo che queste non siano estranee a qualsiasi attività della vita pubblica e sociale (politica, professioni, economia, banche, giornalismo, etc.).
Il punto è che la richiesta di moralità, professata ad ogni costo, non deve diventare qualunquismo giustizialista e demagogia.
Cerchiamo di dare al lettore una visione e una prospettiva giusta delle cose e dei fatti che lo induca ad una riflessione cauta e ragionata dell’attualità e della storia.
Giovanni Maria di Lieto