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Marisa Cecchetti. “La tecnologia ci fa male?” di Ian Douglas
25 Febbraio 2021
 

Ian Douglas

La tecnologia ci fa male?

Traduzione dall’Inglese di Monica Pezzella

Nutrimenti, 2020, pp. 144, € 15,00

 

Appartiene alla collana The Big Idea, ed è definito uno dei “Libri di base per il XXI secolo” questo interessante percorso nella storia della tecnologia che ha l’ausilio di ben 180 illustrazioni, si presenta con caratteri tipografici diversi, più o meno marcati per evidenziare dei concetti, e con note esplicative di approfondimento.

Partendo dalla constatazione che “la tecnologia ci fa male da sempre”, che tutto ciò che è stato creato per superare gli ostacoli ci fa dimenticare anche gli aspetti negativi perché “teniamo talmente tanto a questi strumenti che neanche il fatto che essi possano compromettere il nostro benessere riesce a smorzare il nostro entusiasmo”, e che “l’uso diretto di macchinari è da sempre causa di incidenti”, Douglas, di fronte alla rivoluzione tecnologica in cui siamo immersi, cerca di rispondere al quesito ricorrente se vi sia o meno un rapporto di causa diretto tra tecnologia e salute fisica e mentale. Non ci può essere uno schieramento netto per il sì o per il no, perché “anche la salute mentale ha beneficiato del progresso” in quanto, se da un lato può nascere ansia per i cambiamenti troppo rapidi, dall’altro i rapporti tra le persone molto distanti non sono mai stati così facilitati dalla tecnologia, infatti computer e cellulari sono stati “una cima di salvataggio per chi, ovunque nel mondo, prima era isolato”.

Si chiede se siano più i vantaggi o gli svantaggi: pur ammettendo che non di rado le invenzioni all’avanguardia hanno generato paure, esclude, sulla base di studi e ricerche, che ci siano rapporti tra cancro e telefonia. Secondo Douglas si può vincere l’ansia e lo stress e adattarci ai cambiamenti solo se si arriva “ad una maggiore trasparenza della tecnologia” in quanto è difficile che essa sia subito comprensibile da tutti, data la sua velocità. Fondamentale oggi è poter mantenere la relazionalità nei rapporti con gli altri, ma acquisire autonomia e competenza, altrimenti ne derivano disagio mentale e fisico.

Le nuove tecnologie ci tengono sempre connessi, ci tengono agganciati al lavoro in ogni momento, senza rispetto per i nostri momenti di libertà, eliminando i confini tra vita privata e ufficio. In considerazione del fatto che “portiamo il lavoro in tasca, al bar, al teatro, quando andiamo a prendere i figli all’asilo”, lo stress che ne deriva si può vincere solo spegnendo il cellulare nei momenti di vita in famiglia, e soprattutto allontanandolo dalla camera da letto.

Dannosa è l’abitudine di controllare le email, Twitter, Weibo, Facebook in modo compulsivo prima di dormire.

Senza nulla togliere ai vantaggi della tecnologia, l’autore ci invita ad un uso ragionato, ad un controllo delle nostre azioni a partire dallo smistamento e smaltimento dei materiali tecnologici, alla necessità di diminuire le ore di immobilità davanti agli schermi, con particolare riguardo ai bambini: “l’uso eccessivo di videogiochi può incidere sulla mancanza di concentrazione e può portare, secondo alcuni studi, all’assottigliamento della corteccia cerebrale”.

L’American Academy of Paediatrics raccomanda ai bambini di “usare i media per non più di due ore al giorno”: se “un bambino non esce a giocare con gli amici e resta chiuso in casa per stare attaccato allo schermo, c’è chiaramente un problema”. Purtroppo il fenomeno del bullismo si è ampliato sfruttando la tecnologia.

Douglas si sofferma a spiegare come le strategie adottate creino dipendenza anche negli adulti “attraverso una serie di impulsi appena percettibili che ci inducono ad intraprendere piccole azioni fino ad una spirale di impegni in cui si resta coinvolti senza accorgersene: ogni volta che clicchiamo ‘mi piace’ ci assumiamo un impegno”.

Infatti “tutte le grandi compagnie monitorano le attività dell’utente e, in base agli algoritmi, gli forniscono sempre più contenuti su cui verosimilmente agirà”. In questo modo gli si crea intorno una bolla, così l’utente si confronterà soprattutto con persone che la pensano come lui, senza più la possibilità di mettersi in discussione, come avviene invece in una normale comunità dove si discute e si analizzano varie posizioni. Di conseguenza si creano abitudini, ed anche quando i social media ci offrono di confrontarci con idee diverse, rimaniamo in genere saldamente radicati alle nostre.

Ampio spazio è dedicato ai videogiochi, non per arrivare a demonizzarli, riconoscendo anzi l’importanza dei giochi educativi ben documentati, ma per affermare che “il baubau dei moderni media -videogiochi, televisione, social media- è in realtà di per sé innocuo, ma è parte di quel meccanismo studiato appositamente per creare circoli viziosi in cui l’utente cade e ricade senza rendersene conto”. Incidendo così sulla salute mentale.

A proposito dei materiali, oggi “le filiere di distribuzione globale dislocano i materiali pericolosi in aree lontane dai consumatori, celando le patologie fisiche causate dalle tecnologie e facendo così credere che queste non esistano”. Pertanto gli inventori della prossima generazione dovranno concentrarsi sui problemi causati dalla tecnologia: “nel trovare soluzione a questi problemi, ne genereranno di nuovi. Nel frattempo, consapevolezza pubblica e pressione politica possono aiutarci a minimizzarli”.

Come suggerisce il risvolto di copertina ogni lettore può scegliere: in mezz’ora si possono leggere solo i paragrafi a caratteri più grandi ricavandone una buona conoscenza dell’argomento, in un’ora si può leggere tutto tranne le note in piccolo per avere un quadro più dettagliato, ma in due ore si può completare una lettura senza dubbio interessante.

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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