Sara Gallardo
Gennaio
Traduzione dallo Spagnolo di Bruno Arpaia
Solferino, 2021, pp. 138, € 15,00
Lei è Nefer, una ragazzina di sedici anni, alta, magrissima. Sola. In realtà vive in famiglia, ma non ha voce, si muove silenziosa negli spazi angusti di casa col rumore costante dei suoi pensieri e delle sue fantasie a farle compagnia. Il suo cavallo è un amico – lei lo cavalca come un uomo – ed il cane la cerca, ma per i genitori e la sorella è una che deve mungere le mucche la mattina presto, obbedire agli ordini, saltare a cavallo se le chiedono all’improvviso di andare in paese per una commissione – paese isolato, di poche case e una chiesa dove arriva il sacerdote una volta l’anno: “la pianura è verde e calma sotto il sole e i boschi si allungano come una flotta. In fondo al sentiero si scurisce il paese, che consiste in due negozietti e qualche casupola spuntata vicino alla stazione da dove Nefer vede partire i carri del latte”.
Lo spazio è quello ampio e assolato delle pianure argentine, con le sieste obbligatorie nelle ore in cui il caldo sfianca uomini e animali; con i cani e i polli che si contendono i rimasugli del cibo che cadono dal tavolo, con le sterpaglie, i rovi, le voci sgraziate delle pavoncelle, gli odori forti delle mandrie e delle stalle dove già molto prima dell’alba inizia la mungitura.
È gente concreta, di poche parole, di gesti imperiosi che non conoscono tenerezza – che forse quella gente umile non si permette per un senso di pudore? Si ripetono gli stessi riti del lavoro ogni giorno; si porta un enorme rispetto, quasi di sudditanza, alla famiglia benestante del paese con le sue donne, madre e figlia, privilegiate e sicure, emancipate nei confronti della semplicità dominante. C’è una moralità che non dipende solo dal credo religioso, bensì dal timore del giudizio altrui.
Nefer ha nel cuore il Negro, ne è rimasta affascinata fin dalla prima volta che lo ha visto: “quando l’aveva visto, con la gamba indolente incrociata sulla sella e la sigaretta in bocca, aveva abbassato gli occhi”. Da allora ha cercato ogni occasione per incontrarlo, ed al mattino prestissimo volge sempre gli occhi verso la fattoria di Santa Rosa dove lo sa al lavoro col bestiame.
È stato proprio per cercare lui che è finita in pericolo, nelle mani di un operaio mezzo ubriaco dopo una sera di festa: “La prende per un braccio e le spine degli arbusti le s’incrostano sulla schiena”. Per questo sa di portare dentro di sé un segreto destinato a crescere, che diventerà visibile presto e sarà uno scandalo per lei ed una vergogna per i suoi, “un fungo nero che cresce".
Le sue notti, con “il vasto odore di erba amara della pianura e la spolverata muta di stelle”, si caricano di paura che ogni suono esterno amplifica: “il lungo gemito del mulino bloccato che la brezza inquieta” sembra rispondere al grido che le si strozza in gola. È una paura “che mangia il suo cibo e dorme il suo sonno”.
Gennaio è il primo romanzo di Sara Gallardo (1931-1988), pubblicato nel 1958, che scende dentro il dramma di Nefer nella sua ricerca vana e disperata di una soluzione. Fino alla confessione inevitabile, in un crescendo di tensione e di violenza psicologica: “Che hai fatto canaglia? Quando? Dove?” E la soluzione pratica ideata da altri, che lei deve accettare, umiliata, sottomessa, silenziosa, perché non ha altre possibilità, perché così si deve fare. Come un’erba infestante è strappata via dalla sua casa, fatta salire su un treno dalla madre frettolosa, con indosso un brutto vestito imprestato ed un servito di tazzine in regalo.
L’unico che le ha sorriso è stato Juan il lavorante, che le ha regalato un bottone d’argento a forma di margherita e le ha augurato buona fortuna, prima di spronare il cavallo.
Uno stile asciutto, quello della Gallardo, non privo di elementi di poesia, che ricostruisce un contesto socio culturale che rimanda a Steinbeck ed anche a Erskine Caldwell; uno sguardo lungo di una scrittrice e giornalista di famiglia aristocratica, divenuta una acuta osservatrice e critica della società argentina del suo tempo.
Marisa Cecchetti