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Gianfranco Cercone. “La tigre bianca” di Ramin Bahrani
07 Febbraio 2021
 

Un personaggio può essere considerato in un racconto, letterario o cinematografico, da due punti di vista opposti: nei suoi rapporti con se stesso; o nei suoi rapporti con il mondo esterno, con la società. Non sono due punti di vista che si escludono a vicenda. Ma se prevale il primo, più “soggettivo”, l’aspetto interiore del personaggio potrà risultare più approfondito; se prevale il secondo, più “oggettivo”, sarà determinante la collocazione sociale del personaggio, e più approfonditi potranno essere i problemi, i conflitti, all’interno della società, che da quella collocazione conseguono.

Mi sembra evidentemente quest’ultima l’impostazione narrativa del film La tigre bianca di Ramin Bahrani, tratto da un romanzo best seller di Aravind Adiga e uscito su Netflix.

Fin dall’inizio del film, siamo infatti informati dell’estrazione sociale del giovane protagonista, il quale proviene da una famiglia di uno sperduto villaggio dell’India (il padre era un guidatore di risciò) e appartiene insomma a una casta inferiore. Dalla sua stessa voce, apprendiamo quale sia l’atteggiamento predominante nei confronti della vita che sembra discendere fatalmente da tale collocazione nella società: e cioè la rassegnazione, l’abitudine a servire senza mai protestare.

Lui però non è un esponente tipico della sua casta. Già dai suoi occhi neri tristi ma profondi, capiamo che è più consapevole dei suoi compagni di sventura. Consapevole che se si abbandona al destino che sembra precostituito per lui, andrà incontro soltanto all’infelicità e alla miseria.

Decide dunque di “prendere la vita nelle sue mani”, ma lo fa obbedendo alle regole della sua società. Il riscatto che cerca è farsi assumere come servo – come autista, ma senza diritti – nella villa dei padroni del suo villaggio, quei padroni che affamavano i suoi stessi familiari pretendendo tributi spropositati.

Ma sarà questo in effetti soltanto il primo capitolo di un’escalation; un’escalation che obbedirà alla legge fondamentale della società che il protagonista, nella sua formazione, finirà per apprendere: che nella società trionfa il più furbo ma anche il più spietato, colui che per astuzia e per ferocia somiglia a una “tigre bianca”, un esemplare di belva quasi unico. E tuttavia, ottenuto in base a questi principi il successo negli affari, il giovane continua a coltivare in cuor suo il desiderio inappagato di una società più giusta e più onesta.

Dicevo in apertura che da un racconto così impostato ci si può aspettare una descrizione particolareggiata e approfondita dei rapporti sociali, più che di problemi psicologici soltanto individuali.

E La tigre bianca, da questo punto di vista, a mio parere, non delude le aspettative. È evidentemente intenzione dell’autore offrire un affresco dell’India in cui è ancora in vigore il tradizionale sistema della divisione in caste, un sistema messo però in discussione dai più giovani. Non soltanto il protagonista cerca di emanciparsi dalla mentalità, dalle tradizioni del suo villaggio di provenienza; ma anche uno dei componenti più giovani della famiglia di ricchi da cui si farà assumere, tenta a momenti di trattare con lui più alla pari, non come da padrone a servo. E tuttavia, malgrado le intenzioni democratiche che dichiara, risorge spesso in lui istintivamente la prepotenza del padrone, l’abitudine ad abusare della sottomissione del servo.

E se quest’ultimo sogna di diventare ricco a sua volta, è così radicato in lui l’istinto di servire che, se il padrone lo abbandona, si sente solo e sperduto, desideroso di tornare ad ubbidire.

E se finirà per tradire ferocemente i suoi padroni, a partire dal più benevolo verso di lui, sarà anche per strappare da sé l’istinto atavico, per lui maledetto, di servire.

La riuscita del film è in primo luogo nella felice individuazione dei volti, dei corpi, dei gesti dei personaggi; alcuni dei quali, pur incarnando un atteggiamento tipico nei confronti del sistema sociale preso in esame dal film, ammettono varie sfumature e contraddizioni.

Da vedere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 6 febbraio 2021
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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